Una festa in Atrani
di Sigismondo Nastri
LA FESTA DELLA MADDALENA
RICORDI DI TANTI ANNI Fa.
La festa patronale di Atrani mi riporta alla mente due episodi. Il primo risale al tempo dell’adolescenza. Allora eravamo attirati dalle bancarelle che occupavano ogni spazio disponibile, a volte rendendo difficoltoso anche il transito della processione. Mi fermai a seguire, con curiosità, cercando di capirci qualcosa, le rapide manipolazioni di un tale che, su un tavolo di fortuna (uno di quelli a doghe di legno, pieghevoli) piazzato al riparo di un’arcata del viadotto, poneva una biglia sotto uno di tre bicchieri capovolti. Il giocatore doveva indovinare quale di essi nascondesse la pallina. Cosa che solo all’apparenza poteva sembrare facile, ma era pressoché impossibile. Eppure c’erano due che vi riuscivano, intascando bei quattrini. Mentre stavo a guardare, il titolare del banco mi disse: “Vuoi giocare? Te lo faccio fare gratis”. Ci provai e, con grande soddisfazione, mi accorsi che indovinavo quasi sempre. Ero felice, perché le vincite mi venivano regolarmente pagate. Rimasi lì per dieci o quindici minuti, poi decisi che poteva bastare. Mentre stavo per allontanarmi, mi sentii afferrato per le spalle: erano i due figuri che avevo visto giocare e vincere prima che ci provassi io. Mi misero le mani in tasca e mi sottrassero i soldi che ritenevo di avere legittimamente vinto. Solo allora mi resi conto che, ingenuamente, ero stato usato come palo per attirare… clienti.
Il secondo episodio si riferisce al tempo esuberante della giovinezza. C’era, in piazzetta, un concerto di canzoni napoletane. Un buon complesso musicale e bravi interpreti: qualcuno molto noto, altri del tutto sconosciuti. Tra le cantanti, fui letteralmente folgorato da una ragazza. Mi piaceva la sua voce, ma ancora di più l’apprezzavo per l’aspetto fisico. Un’attrazione quasi morbosa. Acquistai un fascio di fiori, aggiunsi un biglietto nel quale le facevo tantissimi complimenti per le qualità artistiche e, ancor più, per la sua bellezza. Le chiedevo di poterla rivedere dopo lo spettacolo. Affidai il tutto a un ragazzino, Al.B., che poi da adulto è diventato mio amico, pregandolo di portarglielo. Mi piazzai intanto in una posizione strategica, bene in vista, di fronte al palco. Capii che lei era curiosa di sapere da chi le venissse l’omaggio. Al. indicava me col dito puntato della mano. Quando tornò, mi disse che lei aveva apprezzato il mio gesto, ma non poteva dedicarmi nemmeno un minuto, dato che la troupe sarebbe ripartita subito dopo il concerto. La cosa finì lì. Rientrai a casa, ad Amalfi – abitavo allora “â via ‘e coppa” – come un cane mazziato. Con le pive nel sacco.
