Un fascismo da operetta
di Salvatore Sechi
Un fascismo (quasi) da operetta per colpire la Meloni. oppure
Il fascismo e l’occhio corto (e storto) dei giornalisti
di Salvatore Sechi
Abbiamo chiesto al nostro collaboratore prof. Salvatore Sechi, docente di Storia contemporanea negli atenei di Venezia, Ferrara e Bologna, un giudizio sulla trasmisssione di Rai3, curata da Ezio Mauro, La marcia su Roma, cronache del 1922″, film documentario prodotto da Stand by Me e Luce Cinecittà per Rai – Direzione Cinema e Serie Tv.
Che cosa diventa il fascismo, cento anni dopo la sua nascita, nelle mani di noti giornalisti usi a scrivere (o farsi scrivere) un libro all’anno, dominare, insieme alle principali testate, i grandi canali della TV ? Niente pocodipiùedimeno dell’opera di una banda di malviventi,che aggredirono la democrazia liberale, e fecero sfoggio di azioni squadristiche al servizio di interessi reazionari come quel li degli industriali e degli agrari.
E’ una musica che gli italiani hanno già sentito. A suonarla sono stati alcuni gruppi di antifascisti, per lo più esuli, solamente preoccu pati di spiegare ai loro iscritti e militanti le ragioni per cui dopo la prima guerra mondiale soccombettero. Anzi le ragioni di una sconfitta storica durata circa 20 anni.
Ne fu un protagonista Emlio Lussu. I suoi bellissimi libri (Un anno sull’altopiano o Marcia su Roma e dintorni) sono una letteratura che è servita moltissimo alla propaganda antifascista.Nulla hanno,però, di “verità” storica. Basta pensare, per fare solo un esempio, che l’impianto del fascismo in Sardegna deve non poco all’opzione di Lussu di lasciar confluire nelle fila mussoliniane una parte del con senso dato al suo partito (il Partito sardo d’azione).
Due piemontesi come Ezio Mauro (nelle puntate di RAI3 ) e Aldo Cazzullo hanno rimesso in circolazione le versioni di personaggi come Piero Calamandrei, Ernesto Rossi,lo stesso Gaetano Salvemini.Inizialmente identificarono il fascismo in una banda di manganel latori, scherani degli agrari e degli industriali, profittatori di regime ecc.Ma la riflessione storiografica è andata avanti,molto avanti.
Ha isolato quelle interpretazioni come un aspetto collocato in un microcosmo di fonti storiografiche.A restarne vittime consenzienti sono quanti, come nel caso di Mauro e Cazzullo, non fanno di mestiere gli studiosi di storia.
Questi giornalisti hanno così finito per lasciarsi sospingere in quello che è un vicolo cieco e non la rappresentazione del fascismo meno distante dalla realtà. Mi sia consentito dire che questultima assomiglia molto a quella fornitaci da Renzo De Felice fino ai testi migliori di Roberto Vivarelli e Guido Melis,per fare qualche esempio.
Nell’impostazione prescelta hanno avuto un ruolo anche due motivi legati alla cronaca, all’attiualità.Il primo(che a Mauro viene dalla cultura e dalle esperienze del suo quotidiano, il partito -Stato la Repubblica): fare una gigantografia della pericolosità della presenza,nel governo guidato da Giorgia Meloni,di esponenti del cattolicesimo più retrivo o tradizionale e del la vecchia destra pronta ad opporsi all’estensione dei diritti civili degli italiani (divorzio, aborto ecc. ). Il secondo: attenuare o nascondere le molte, troppe, responsabilità che ci furono nel successo dell’eversione fascista.
L’uso strumentale dei socialisti.
Nella ricerca storica questi calcoli strumentali non sono mancati (soprattutto ad opera dei comunisti che per un lungo periodo hanno presentato Mussolini e le sue squadracce come i camelots du roi di una micidiale reazi one di classe.
Ezio Mauro consapevolmente o meno si muove in questa lunghezza d’onda con un accorgimento. Usa,infatti i socialisti,e non i comunisti, come copertura di una realtà diversa.
Non si vuole minimamente escludere che il grande padronato industriale e agrario abbiano sborsato dei baiocchi per finanziare le ag gressioni al quotidiano socialista che portava il nostro stesso nome, le Camere del lavoro, le sezioni e i circoli del Psi.Sono i ceti sociali che storicamente hanno tratto meno vantaggi e più olio di ricino da un ventennio all’insegna del dispotismo.
Ma questa non è una buona ragione, almeno per uno storico, per chiudere gli occhi,ed omettere i seguenti aspetti della realtà.
In primo luogo,il fascismo delle origini denuncia e colpisce gli organi dello Stato come Comuni (amministrati tanto da liberali quanto da socialisti) , questure e prefetture che impediscono la celebrazione della vittoria, cioè i sacrifici della vita, le mutilazioni e l’incombente miseria di milioni di italiani ( i reduci le loro famiglie).
Mauro si sofferma su Bologna. Qui ebbe luogo lo scontro a palazzo d’Accursio tra due forme di politica milita rizzata con a capo rispettivamente il fascista Leandro Arpinati e il socialista massimalista Bucco.Perchè tacere, in maniera semplicemente spudorata, che nel capoluogo emiliano-romagnolo agli ex combattenti e ai loro cari era stato vietato o impedito, con ogni messo, di potersi recarsi al cimitero per piangere sulle tombe dei caduti nella grande ecatombe del 1915-1918?
Questo fenomeno fu diffuso in molte parti d’Italia. I fascisti insorsero contro questo scempio dei sentimenti e delle passioni più intime. Solo successivamente, si scatenarono,in preda ad un grande odio di classe, contro le organizzazioni degli operai e dei contadini. Diventarono, cioè, non raramente, la mano armata del padronato.
Mussolini ebbe cnsensi anche nell’ Ordine Nuovo.
La trasmissione di Mauro fa di ogni erba un fascio. Ignora il principio storiografico del distingue frequenter. Non spiega perchè Fasci di combattimento del 1919, oltre ad essere ospitati nelle sedi di esponenti della mas soneria, ebbero un programma (nazionalizzazioni, imposte sui profitti di guerra,riforme del sistema industriale ecc. ) che è impossibile non definire di sinistra.
Ed omette di spiegare perchè ià nel 1921 il sindacato fascista aveva raggiunto,nel numero degli iscritti, la stessa Cgil. Furono costretti dalle bastonature o fu il segno delll’incrinarsi e del venire meno del consenso della classe operaia sinistra socialista e comunista?
In secondo luogo ,un silenzio tombale viene di conseguenza mantenuto su chi erano, a Torino, i principali alleati di Mussolini. Nel contrapporsi all’ala massimalista del PSI (rappresentata da G.M. Serrati), nell’assumere la direzione dell’Avanti!, egli potè beneficiare del consenso e della collaborazione di Gramsci, Tasca, Togliatti, Viglongo ecc.
Si tratta,per intenderci, dell’intero gruppo di giovani intellettuali (studiati molto bene da uno storico milanese di rango come Davide Bidussa) che daranno vita il partito comunista d’Italia.
In terzo luogo, Mauro e una parte dei suoi collabora tori non si premurano di ricordare come Gramsci etichettò la scissione dei socialisti al congresso di Livorno:il più grande regalo fatto alla reazione (al fascismo appunto).
La trasmissione scarica ossessivamente sullo squadrismo fascista la responsabilità della violenza che fu in primo piano nel dopo guerra. Ebbene, non si trattò di un fenomeno italiano, ma internazionale. In secondo luogo,tacere sulla benzi na sul fuoco gettata a piene mani dai socialisti massimalisti quando un giorno sì un giorno no sulla prima pagi na dell’Avanti! annunciavano o minacciavano la rivoluzione espropritrice di ogni bene, è una spudorata falsificazione della storia.
L’intenzione dell’ex direttore di la Repubblica (cioè del più influente quotidiano\partito mai creato in Italia)è di assolvere i socialisti, anche riformisti, da ogni ruolo nella devastazione della democrazia liberale.
Gramsci: rompere l’unità del Psi sarebbe un delitto.
Ebbene, non ne furono solo vittime, ma anche protagonisti. I dati relativi alla loro crescita sono impressionanti.Nelle elezioni parlamentari del novembre 1919 i deputati passarono da 50 a 156.Gli iscritti al PSI dai 50 mila dell’anteguerra balzarono a 300 mila.Gli aderenti alla Cgil da 600 mila a più di due milioni.
I deputati socialisti dopo le elezioni del novembre 1919 ribadirono pregiudizialmente l’ostilità allo stato nazionale, a qualunque forma di collaborazione con altri partiti, esaltando un programma di propaganda dell’odio e della violenza. Uno degli esiti fu l’impossibilità di dare vita a una solida maggioranza parlamentare e quindi di munire di stabilità i governi del dopoguerra.
E’ di Antonio Gramsci il riconoscimento:” “questo Partito ha dietro di sé delle forze immense, ha conquistato attorno ad alcune delle sue personalità la fiducia di masse intere di popolazioni”.E cocludeva:”Rompere l’unità di un simile Partito sarebbe un delitto, sarebbe un danno per la classe operaia e per tutta la popolazione lavoratorice italiana”.[1]
Ma c’è un limite grande come una montagna. Uno studioso come Franco Venturi, uno dei dirigenti della nuova formazione polituca ( Giustizia e Libertà), lo ha individuato. Ha,infatti, riconosciuto il carattere ristretto, di classe, con cui i socialisti hanno combattuto per la libertà e per i diritti civili. Non si preoccuparono di estenderne la fruizione ai ceti non proletari, realizzando una discriminazione che ha finito per incidetre molto nell’amplia men to del consenso al Psi.
Grave e incomprensibile è il silenzio di Mauro su quanto ha luogo nel movimento sindacale. Il riferimento che voglio fare è al radicale mutamento quantitativo, cioè ad un aspetto dei rapporti dei forza. Alla fine del 1923, vale a dire un anno dopo la marcia su Roma, il fascismo aveva avuto la forza di disorganizzare, togliendoli dalla mischia del conflitto politico e sociale , 2,5 milioni di lavoratori.
I 4 milioni di iscritti ai sindacati del 1920 si erano ridotti complessivamente a 1.513.632. Erano scomparsi sigle ed emblemi come quelle dell’l’UIL e dell’Usi, e e gli appartenenti a ai sindacati di origine cattolica restavano attestati sui 445.595.
Era avvenuta una dislocazione nuova del processo di sindacalizazzione. I sindacati fascisti potevano contare su 857.611 iscritti, mentre la CGL più che affievolita, era precipitata in una impressionante rotta di consensi.Gli iscritti si erano ridotti,infatti, ad una quota 212.016.[2]
E’ arduo spiegare questa crisi di rappresentatività del mondo del lavoro come un effetto della violenza fascista, dell’assalto agli uomini,ai giornali e alle istituzioni del movimento operaio. In realtà, più che a un successo dello squadrismo si assiste alla chiusura di un’epoca, la crisi inarrestabile della società e dello stato liberali. Gramsci amò descriverla attribuendo a Giolitti la responsabilità di avere lasciato massacrare socialisti e lasciato armare oltre 400 mila (vedi Socialismo e fascismo).,
I socialisti hanno saputo dare conto delle loro debolezze e anche delle colpe come dimostra il numero dei compagni assassinati, impri gionati o costretti all’esilio, e la catena delle scissioni subite.
(!
Turati celebrò la vittoria dei Soviet,ma ne preannunciò la fine nel dispotismo.
Poichè la giustificazione ideologica dei delitti, delle rappresaglie, della vera e propria guerra civile del biennio 1919-1920 fu la paura del comunismo, non si può tacere un dato di fatto.Filippo Turati nel 1919 al congresso del PSI a Bologna fece propria, e promosse, l’adesione alla vittoria,nell’ottobre del 1917, dei Soviet in Russia e a Lenin.
Si trattò di un’infatuazione che ebbe un’ ampiezza europea. Turati seppe fermarsi e denunciarenla mostruosità del comunismo.Ma bisogna avere il coraggio di dire che essa durò anche più a lungo tra i principali dirigenti delle cooperative.Ancora nel 1921 si sentirono legati alla solidarietà col Comintern.
Mauro e una parte dei suoi suggeritori ignora un aspetto essenziale della storia del socialismo.Non si identificò nella democrazia parlamentare.Non ne fece un valo re, ma una scelta di necessità.Statuto albertino, parlamento, magistratura,disciplima del lavoro ecc. vevano un marchio indelebile.Erano istituzioni volute e nate dalla borghesia, non dal prole tariato operaio e contadino.
Ecco che cosa replicò in parlamento uno dei maggiori esponenti del gruppo turatiano milanese Caudio Treves a chi dai banchi del parlamento gli chiedeva di schierarsi a sua difenderlo dalle le minacce fasciste di farne strame o abbatterlo: ”Quando si minaccia il parlamentarismo e si inneggia alla dittatura,noi vi diciamo,o signori,de re vestra agitur.Il regime liberale parlamentare è vostro,non nostro”.
I socialisti hanno pagato a carissimo prezzo errori, debolezze,ingenuità.Pertanto,sostenere, come si è fatto nella trasmissione di TV3, che l’attacco alla democrtazia parlamentare venne da una sola parte cioè da quel la dei fascisti, e’ un triste luogo comune. Lo si può affidare alle sentenze spicce di chi le spaccia nel chiuso dei bar o nelle stazioni delle corriere,
Il fascismo fu una rivoluzione.
Il fascismo non è rappresentabile come un’operetta, una commedia tragicomica. Nella storia italiana fu quel che non c’è mai stata (e si è da parte di mol te parti au spicata), cioè una rivoluzione.
Non solo dunque una dittatura che ha travolto le istituzioni e le garanzie dello Stato liberale, si è incarnata in un Capo (o Duce che lo si voglia chiamare scimmiottando gli antichi romani),ma che verso la fine degli anni Venti ha dato vita ad un regime di tipo nuovo.
Uno dei maggiori studiosi di Gramsci, Fabio Frosini, intellettuale di sinistra,di recente ha provveduto a sezionare i discorsi mussoliniani in occasione di momenti cruciali del regime, sapendone cogliere,insieme allo strato conservatore , le grandi innova ioni,.Grazie ad esse è diventato a lungo un regime di riferimento nel mondo. Non solo dei paesi arretrati, ma anche-come rilevò tempesti vamente un economista come Pie ro Sraffa- di democrazie industriali avanzate.In particolare seppe tenere testa, con scambi e innovazioni analoghe ad un dispotismo di sinistra quale fu il comunismo.
Di recente una delle maggiori studiose degli Stati Uni ti, Vittoria De Grazia, ha offerto,attraverso lo studio di un prefetto una minuziosa rassegna del peso avuto nel costume, nelle famiglie, nell’antropologia degli italiani.E’ la conferma di quanto aveva saputo cogliere uno scrittore liberale come Piero Gobetti descriven do quello mussoliniano come una fotografia, uno spec chio, in cui veniva riflessa l’autobiografia degli itali ani.
I giornalisti travestitisi da storici insistono nel pregiudizio di attribuire a Mussolini il culto della violenza, delle gerarchie, del muro di ferro tra diri genti e diretti, cittadini e Stato.
Non amano chiedersi che cosa di diverso,negli stessi anni è avvenuto nella Russia sovietizzata. E che cosa di diverso esprimeva Antonio Gramsci in un articolo, Capo, che non si ama citare frequentemente.
La dittatura sovietica garanzia di libertà?
La storiografia comunista, valorizzando un passaggio di Gramsci, non si è fermata davanti all’eccesso di considerare il dispotismo bolscevico un fattore di garanzia della qualità superiore dei Soviet rispetto alla democrazia borghese.Di recente il presidente della Fondazione Gramsci, Silvio Pons, ha ripercorso opppor tunamente questa vicenda. Essa consente di spiegare perchè sradicare il comunismo dalle mente e dal cu ore di chi vi ha creduto equivalga ad una domanda di apostasia.
Ma il ferro della dittatura può essere scambiato per il balsamo della libertà, come per decennio hanno cre duto sia Gramsci (che,però, verso la metà degli anni Trenta seppe ricredersi) sia i dirigenti comuni sti di mezzo mondo?
Queta illusione venne denunciata da uno dei grandi maestri della socialdemocrazia, K.Kautsky,e ha portato sino ad un criminale di guerra come Putin.E’ un caso che il Pd di Letta, .ancora oggi contrario a riconosce re la superiorità del socialismo democratico sul dispotismo comunista, si sia astenuto nel votargli le san zioni?
Nella personificazione del potere come nel progetto delle corporazioni c’era l’esigenza di contenere, e gui dare, le domande e i bisogni delle grandi masse popolari una volta che con l’esercizio del diritto di voto ave vano appreso a vivere la democrazia come partecipazione e distribuzione(non più monopolio) del po tere.
Mussolini fu davvero solo e soltanto, come induce a pensare la Tv di Stato piegatasi alle idee di alcuni giornalisti, un capobanda, un leader fazioso, irruento, aggressivo ecc.?
Un esame approfondito della sua prassi di governo lo descrive, in realtà, non solo come un successore, , ma un seguace delle virtù ( e dei vizi) di Giovanni Giolitti: la passione per la mediazione, la ricerca conti nua del compromesso.Non dico che sia il migliore, ma questo è stato, ed è, come mostrano i comporta menti della stessa Giorgia Meloni,il modo di essere, il volto della storia d’Italia.
Vivarelli Roberto,Storia delle origini del fascismo, con introduzione di Roberto Pertici, il Mulino, Bologna
Melis Guido, La macchina imperfetta, il Mulino, Bologna,2022
Capuzzo Paolo e Pons Silvio, a cura di, Gramsci nel movimento comunista internazionale, Carocci, Roma 2019(con particolare riferimento ai contributi di David Bidussa, Bruno Settis, Alessio Gagliardi, Silvio Pons)
De Grazia Victoria, Perfetto fascista. Una storia d’amore, potere e moralita’ nell’italia di Mussolini, Einaudi, Torino 2022
Frosini Fabio, La costruzione dello Stato nuovo, Marsilio, Venezia 2022.
Settis Bruno,Il destino del capitalismo. America e americanismo per i comunisti, in Antologia Premio Gramsci, XIII Edizione, a cura di Giorgio Serra, Edes, Sassari 2013.
Settis Bruno, Fordismi. Storia politica della produzione di massa, il Mulino, Bologna 2016
Maione Giuseppe,Americanismo e fordismo…Molti anni dopo, ” Rivista di Studi Italiani”,
Paolo Pili, Memorie di un sardofascista, con un saggio biografico di Mario Cubeddu, Edes, Sassari 2021.
Rapone Leonardo, Cinque anni che paiono secoli, Carocci, Roma 2011.
Bidussa Davide e Vacca Giuseppe, a cura di Il fascismo in tempo reale. Studi e ricerche di Angelo Tasca sulla genesi e l’evoluzione del regime fascista. 1926-1938, Feltrinelli, Milano 2014.
Crainz Guido, Padania, Il mondo dei braccianti dall’Ottocento alla fuga dalle campagne, Donzelli, Roma 2007.
Missiroli Mario, Satrapia, Zanichelli, Bologna 1914
Onofri Nazario Sauro, La strage di palazzo d’Accursio. Origine e nascita del fascismo bolognese. 1919-1920,Feltrinelli, Milano, 1980.
Casali Luciano, a cura di,Bologna 1920.Le originin del fascismo,Cappelli, Bologna 1982
Ezio Mauro,L’anno del fascismo. Feltrinelli, Milano 2022
Aldo Cazzullo, Mussolini il capobanda, Mondadori,Milano 2022.
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Prof. Salvatore Sechi
Ordinario di Storia Contemporanea
Dipartimento di Studi Storici
ab. p.za Roosevelt 3
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