Un dottorato mancato
di Silvia Migliaccio
Non molto tempo fa sono venuta a sapere, dal mio compagno, il motivo del mio mancato dottorato di ricerca in Scienze FIlosofiche. Parlando con il mio ex relatore di tesi, dopo anni, ciò che e’ emerso suona così: ‘persona molto profonda ma data la sua condizione ..”
Ovvero: dal pensiero molto profondo – che per uno che voglia studiare filosofia e’ il minimo sindacabile – ma date le difficoltà motorie e quindi di spostamento, non le faccio pubblicare un cavolo così non passa e mi tolgo la rottura di coglioni di avere una dottoranda da aiutare negli spostamenti di studio e/o ricerca
Ci sta. È legittimo. Ciononostante sapere questa cosa dopo anni mi ha fatto male tanto quanto allora, quando non passai per un punto all’orale o vidi gente di sessant’anni passarmi avanti seppur senza borsa.
Volevano che provassi a Bergamo e, al tempo – senza compagno né appoggio – la cosa era impossibile e sapeva di presa per i fondelli.
Così, da allora, non dichiaro più la mia disabilita’. Per non condizionare il giudizio, perché c’è tanto altro di un soggetto oltre la condizione in cui e’, con la quale si rapporta nel mondo e che non e’ un limite per lui/lei ma una necessità con cui fare i conti senza per questo pregiudicare nulla.
Ora sto per conseguire la seconda laurea in Arte ed ho scelto un relatore che, oltre ad occuparsi di un ambito che adoro, le arti decorative, ha la bellezza del fatto che, di dove appoggi il mio – potenzialmente bellissimo ma di fatto quasi inesistente – culo non gliene frega un beneamato, tanto da mandarmi a breve agli archivi del Vittoriale.
L’attestazione di stima più bella che potesse avere nei miei confronti.