Tre minuti da vedere e rivedere
di Stefano Causa
Tre minuti da vedere e rivedere, se è possibile, con un poco di attenzione. Come se braque, gris e picasso si trovassero con renoir a rifare il “ballo al moulin de la galette”. E lo dovessero ridipingere tutti insieme. Solo che qui al posto dei giovani cubisti c’è la E street band nel 1995. Di fronte a un mare di gente che non è venuta per quel vecchietto sulla settantina, bensì per l’altro, a sinistra, che di anni ne ha una.ventina di meno. E però quando il nonno comincia a suonare tutti, artisti e pubblico, si rendono subito conto dello stato dell’arte. Chuck berry se la canta e se la suona con il massimo della sprezzatura. Se esiste un’idea di nonchalance è questa. D’altronde si tratta di un lessico che ha inventato praticamente lui nel 1958. Gli altri sul palco, che senza questa canzone non esisterebbero nemmeno, si limitano a compitare diligentemente un alfabeto fatto di gesti, di ritmi, di accenti. Precisi e sempre diversi. Ma sembrano tutti un poco intimiditi. Specie springsteen che lo guarda incantato. Ma è logico: è sotto un incantesimo. Al punto che quando, dopo il primo assolo, chuck berry gli passa il testimone come a dirgli: “ok ora tocca a te, ti chiamano il boss, fammi vedere quanto ce l’hai grosso”. Ecco lui tira fuori un pisellino tutto striminzito…E a quel punto tu capisci che l’unico che sia riuscito a reggere la tensione di questo salto nel tempo è sua maesta clarence clemmons al tenore. Il set se lo sono giocati loro due. È solo rock and roll e non è al calor bianco.