The servant
di Claudio Vercelli
Allora, se si ragiona su Joseph Losey e Harold Pinter – come certuni mi hanno invitato a fare – si lavora sulle complesse, ferine ma anche seduttive dinamiche del potere. Nel suo ripetersi nel corso del tempo: la società britannica è solo un “pretesto” per avanzare, invece, un discorso ben più diffuso e condiviso. La potenza di quest’ultimo, infatti, deriva non solo dalla sua ferocia bensì dalla capacità che esercita di sussumere, di inglobare, letteralmente di divorare (con la compiacenza delle stesse “vittime”) coloro che sono parte del circuito di relazioni sado-masochiste. Come aveva confusamente inteso Pier Paolo Pasolini (che come autore non amo ma che comprendo abbia capito alcuni aspetti del nostro presente), il fondamento del potere, in ultima istanza, è infatti il godimento sado-masochista. Sì, Freud si incontra con Marx, Non sono per nulla anacronistici. In questo caso si parla, al medesimo tempo, del potere macro (il dominio di una parte di indidiui sul resto della collettività) ma anche micro (il ribaltamento dei ruoli socialmente assodati in un contesto domestico, dove il “servo” riesce, per un po’, ad imporsi al “padrone”). La coppia (il regista e il drammaturgo) ha a lungo lavorato su questo crinale, che è tanto indecifrabile quanto in sé strategico per capire le nostre società e, in immediato riflesso, noi stessi. Per ciò che mi riguarda, Losey e Pinter sono due semiologi dell’età presente. Lo hanno fatto in anni diversi da quelli che stiamo vivendo, ma con una coscienza anticipatoria assolutamente encomiabile.

