Tanto rumore per nulla

di Nando Astarita

Un lungo articolo di carattere culturale che però fonda su un presupposto di pretesa verità che invece è ancora tutta da dimostrare e cioè che la piccola scultura, esistente da oltre un secolo nella Reggia di Caserta e già attribuita a Sammartino, rappresenti il piccolo Carlo Tito.
Infatti, è ormai notorio che la Reggia, solo dopo aver sontuosamente proclamato urbi et orbi di aver scoperto nei suoi depositi una statua di Carlo Tito si è messa alla ricerca delle relative prove documentali e forse solo perché abbiamo contestato con forza quella che, dopo rapido ma puntuale approfondimento, è subito apparsa come una vera e propria fiction culturale. Ma finora dalla Reggia queste prove non sarebbero state trovate, per quanto ricercate ossessivamente con evidente spreco di risorse e denari. Ma, d’altra parte, non poteva essere diverso perché quelle prove non possono esistere. Insomma, finora non esiste uno straccio di prova che dimostri che quella “statuetta” rappresenti davvero Carlo Tito tanto è vero che la mostra sul “Il Piccolo principe” più volte annunciata dalla Reggia ha già subito vari rinvii per “approfondimenti”. E però annunciare prima un risultato e poi dedicarsi ai relativi studi e approfondimenti che lo attestino non solo contraddice ogni più elementare metodologia di ricerca ma potrebbe anche essere lesiva dell’affidabilità culturale che sempre deve caratterizzare un Museo, specie se pubblico.
Ma, tornando all’articolo, dopo questa fallosa partenza l’autore prosegue ponendosi “due intriganti interrogativi” : a) “chi nascose quell’opera d’arte ? “, b) “perché essa sparì dagli inventari della reggia dopo il 1879?“.
Ebbene, entrambi gli interrogativi lasciano quanto meno sconcertati.
Infatti , quanto al primo, chissà perché l’autore pensa che qualcuno abbia nascosto la statua considerato che di certo non può ignorare che quella scultura è stata esposta in bella mostra nella Reggia fino a pochi anni fa.
E anche il secondo interrogativo appare del tutto immotivato in quanto quest’opera (debitamente contraddistinta da etichette inventariali) è sempre stata presente nel catalogo dei beni culturali presso la sovrintendenza tant’è che la relativa scheda (redatta nel 1879 e non sparita da tale data! ) è stata di recente resa disponibile anche online insieme a tanti altri documenti.
Insomma, pare proprio che intorno a questa statuetta piuttosto che fatti obiettivi si continui a sviluppare uno storytelling peraltro dai toni sempre piu suggestivi come, ad esempio, che essa è stata rinvenuta in un “:deposito sotterraneo” mentre in realtà il deposito in questione si trova al primo piano del Palazzo. Comunque l’articolo prosegue con una lunga dissertazione sulle pretese vere cause della morte del piccolo Carlo Tito e su una ipotesi della genesi della Colonia di San Leucio, e fin qui si tratta di legittime personali opinioni su cui ci si potrebbe anche confrontare.
Ma poi ecco che si tira in ballo la storiografia risorgimentale e così prima si sostiene che “ la cancellazione ( ma quando mai) del legame tra la nascita della Colonia di San Leucio e la morte di Carlo Tito è un esempio di mancanza di obiettività ( di quella storiografia)” e poi si prosegue addirittura sostenendo che “non è impossibile che la decisione di nascondere sottoterra (!) la statua del piccolo principe sia stata influenzata da spirito antiborbonoco”.
Ora una tesi complottista per nascondere una singola statuetta già si commenta da sola ma se poi si tiene conto che, come già detto sopra, la scultura in oggetto è rimasta in bella nostra fino a qualche anno fa è evidente che la tesi manca perfino di ogni correlazione storico temporale e dunque trascura che l’opera è stata trasferita in un deposito semplicemente per normale rotazione museale delle opere disponibili.
Ma l’apoteosi dello story telling si raggiunge allorché l’autore sostiene che “ la riapparizione del capolavoro del Sammartino ha qualcosa di miracoloso” ( addirittura!) e sospetta che “ Carlo Tito sia tornato alla luce per chiedere giustizia (…) e che sia uscito dalla galleria sotterranea (!) per riannodare il proprio legame spirituale con San Leucio, così intensamente voluto da suo padre e tanto stoltamente cancellato”

Ora la lunga storia personale e professionale del 93enne autore merita massino rispetto e sicura ammirazione ma da qui a condividere tali astrazioni potrebbe essere solo il disperato tentativo di salvare la “barca Carlo Tito” che ormai fa acqua da tutte le parti e il cui destino appare inesorabilmente segnato, specie se dovesse davvero realizzarsi quella mostra sul “Piccolo Principe” magari incoraggiata dall’opportunistico diffuso silenzio al riguardo specie da parte di chi avrebbe titolo per dir la sua.
Ma, a tal proposito, dovrebbe far riflettere non poco il perché riguardo una faccenda che ha suscitato tanto clamore e che è stata perfino oggetto di una interrogazione in Senato al ministro Franceschini, nessuno finora abbia sentito il dovere culturale, etico e professionale di esprimersi pubblicamente non solo a sfavore, he potrebbe anche capirsi, ma nemmeno a favore, il che è certo molto significativo.
Insomma, ci sarà una ragione se va in onda “ E gli addetti ai lavori stanno a guardare”.
In conclusione,questa faccenda del preteso Carlo Tito appare sempre più evidente come uno scivolone gestionale che, per quanto increscioso, avrebbe potuto essere superato in funzione di una doverosa e responsabile presa d’atto che addirittura avrebbe potuto rafforzare l’affidabilità della gestione stessa. Viceversa insistere ostinatamente con ogni mezzo a sostenerla negando l’evidenza dei fatti, al di là di altre evidenti considerazioni, certamente potrebbe creare ulteriori e seri danni malgrado le presunte cautelari misure predisposte.

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