TAMARA DE LEMPICKA

di Gian Ruggero Manzoni
Amiche e amici rifacciamoci la bocca con un’opera di TAMARA DE LEMPICKA (Varsavia 1898 – Cuernavaca, Messico, 1980), “Ritratto della Duchessa de La Salle”, un olio su tela di cm 161 x 96, dipinto nel 1925. Il quadro fu esposto per la prima volta alla Bottega di Poesia di Milano, nel 1925, e l’anno seguente al Salon d’Automne di Parigi. Come in altri lavori della Lempicka, evidenti sono i rimandi alla ritrattistica manierista e, in particolare, a quella di Agnolo di Cosimo detto il Bronzino (Monticelli di Firenze 1503 – Firenze 1572), per l’inserimento dell’effigiato in uno sfondo architettonico cittadino e per l’utilizzo di una tenda e una colonna come motivi decorativi. L’impressione che si trae osservando la Duchessa in abiti da cavallerizza è quella di un’aristocratica raffinata e alla moda, comunque donna molto distaccata, dal volto glaciale e dallo sguardo in tralice, cioè: obliquo. La Duchessa (Atene 1887 – Parigi 1973), sposatasi con il ricco Duca francese de La Salle, era gay e, nel 1907, appena ventenne, fu al centro di uno scandalo sconcertante. In Vaticano, dopo aver aspettato mesi un incontro privato col Papa per ottenere l’annullamento del suo matrimonio, si recò a un’udienza generale di Pio X. Quando il Pontefice le passò vicino lo afferrò per la tonaca, per attrarne l’attenzione, ma tirò troppo “maschia” e il malcapitato settantaduenne, nonché futuro santo, stramazzò a terra a gambe levate, ovviamente nell’imbarazzo generale. Frequentatrice del famoso circolo della scrittrice americana Natalie Barney, la Duchessa, accanita fumatrice di pipa, sempre armata di pistola, intima amica del pittore futurista modenese, nonché fascio-massone, Enrico Prampolini (che, a sua volta, la ritrasse), aveva, a Parigi, un’agenzia di artisti, decoratori e illustratori. Quello della Duchessa, donna sprezzante e autonoma, invisa alla destra filonazista francese, fu l’unico quadro che la pittrice polacca tenne sempre nella sua camera da letto, quale puro distillato di un turgido fetish innegabilmente lesbo. Inutile dire che le due furono amanti per anni, sebbene mantenessero una relazione “aperta”, come si dice oggi. La Duchessa morì povera, in Svizzera, dove si era rifugiata durante il Secondo Conflitto Mondiale, per non venire inviata, quale gay pubblicamente dichiarata, in un campo di sterminio tedesco, là dove sarebbe finita se alcuni amici non l’avessero avvisata in tempo.