Storie di antifascisti italiani che, per il bene della patria, cospiravano e combattevano contro l’Italia fascista

di Armando Pepe
Lungi dall’emettere un giudizio etico, Eugenio Di Rienzo nel nuovo libro, «Sotto altra bandiera. Antifascisti italiani al servizio di Churchill», uscito per i tipi della casa editrice veneta Neri Pozza, riconsidera, in virtù di nuova e robusta documentazione rinvenuta negli archivi inglesi e da poco desecretata, il ruolo degli intellettuali che collaborarono con le Forze alleate al fine di cacciare i nazifascisti dal suolo italiano.
Sconvolta dalla guerra devastante, l’Italia dopo l’8 settembre 1943 doveva necessariamente ricollocarsi, a stretto giro di tempo, aderendo al campo avverso rispetto al quale aveva fino a quel giorno combattuto. Al di là delle vicissitudini e delle incoerenze personali, erano numerosi gli uomini politici e no-, intellettuali e giornalisti, storici e diplomatici-, che si trovavano su posizioni nettamente distanti dal governo fascista.
Di Rienzo ne analizza cinque, Emilio Lussu, Alberto Tarchiani, Aldo Garosci, Max Salvadori e Leo Valiani. Particolarmente interessanti sono i profili biografici e ideologici che nel libro sono delineati nitidamente.
Il sardo Emilio Lussu, «convinto interventista e temerario combattente nella Grande Guerra ma molto critico sull’irrazionalità e l’insensatezza del conflitto e sulla conduzione di questo da parte dello Stato Maggiore italiano (come ci narrano le amare riflessioni degli anni di trincea che avrebbero ispirato il suo libro forse più famoso, Un anno sull’altipiano, pubblicato a Parigi nel 1938), il capitano del 151° Reggimento fanteria, Brigata Sassari, composta per la maggior parte da contadini e pastori sardi» (p. 51) fu parlamentare del Partito sardo d’Azione, esule dapprima in Francia e poi, passando per il Portogallo, negli Stati Uniti d’America, ove si affermò quale conclamato paladino dell’antifascismo militante. Lussu si proponeva «di concentrare ogni sforzo per organizzare un’insurrezione in Sardegna, i cui comandi sarebbero stati composti dai dirigenti del Partito sardo d’Azione, in maggioranza costituiti da ufficiali e graduati della Brigata Sassari, i quali avevano affinato la loro preparazione militare nella Grande Guerra. L’insorgenza, che avrebbe dovuto essere rifornita di armi, materiali e denaro dal Regno Unito e appoggiata, in un secondo momento, sul campo, dallo sbarco del corpo di spedizione britannico e dall’intervento navale e aereo della Mediterranean Fleet, doveva, comunque, limitarsi ad azioni di guerriglia solo contro le truppe tedesche senza aprire le ostilità contro quelle del Regio Esercito. Obiettivo finale del cosiddetto Lussu’s plan, indirizzato alla centrale del Soe (Special Operations Executives) e firmato dal suo autore con lo pseudonimo di “Simon”, doveva essere quello di arrivare “alla presa del potere politico in Sardegna e alla formazione di un Governo provvisorio che avrebbe parlato a tutta l’Italia per spingerla a rovesciare il fascismo”, come Lussu avrebbe ricordato ancora nel volume del 1946» (p. 58). Nondimeno, «il 13 novembre 1941, il Direttore esecutivo del Soe, Frank Nelson, rigettò il progetto di Lussu seppellendolo sotto una valanga di critiche. La non disponibilità dimostrata da Nelson a prendere in considerazione il Lussu’s plan era motivata da alcuni precisi elementi» (p. 60) che lo facevano apparire irrealizzabile e campato in aria.
Passando alle note riguardanti Alberto Tarchiani, proveniente da una famiglia in cui gli ideali risorgimentali erano fortemente radicati, l’Autore ricorda che «giovanissimo, iniziò la sua attività di giornalista al quotidiano Il Nuovo Giornale di Firenze, per poi passare a La Tribuna di Roma. Nel 1907 si trasferì negli Stati Uniti, dove assunse la direzione del settimanale Il cittadino, stampato in lingua italiana a New York. E divenne contemporaneamente corrispondente di alcuni giornali italiani. Ma, convinto interventista, tornò in patria nel 1915, per partecipare alla Grande Guerra, arruolandosi come volontario» (p. 75). Come Lussu, fu tenacemente antifascista, espatriando nella seconda metà degli anni Venti a Parigi, dove si unì alla cerchia di fuoriusciti che stava attorno all’emblematica figura di Gaetano Salvemini. Nel 1940 riparò prima in Gran Bretagna e poi negli Stati Uniti d’America. «Qui, accanto a [Carlo] Sforza, [Alberto] Cianca e Max Ascoli, divenne, come Segretario generale, forse il principale animatore della Mazzini Society, della quale Ascoli aveva assunto la presidenza» (p. 77). Rappresentò instancabilmente un baluardo della lotta contro il fascismo, fornendo con costanza piani e progetti.
Il piemontese Aldo Garosci, nato ai piedi delle Alpi a Meana di Susa, seguì la scia dell’antifascismo militante, ponendosi, già a partire dagli anni Venti-, sotto il magistero del filosofo del diritto Gioele Solari, che aveva annoverava tra i propri allievi Piero Gobetti, Mario Andreis, Giorgio Agosti e Dante Livio Bianco-, in aperta opposizione alla dittatura. Di notevole spessore culturale, Garosci divenne, nel Secondo dopoguerra, accademico prima a Roma, poi a Torino, ove insegnò stabilmente Storia del Risorgimento, configurandosi, politicamente contiguo a Giuseppe Saragat, quale punta di diamante degli intellettuali socialdemocratici. Il fascicolo-, conservato negli archivi inglesi-, di Garosci riferisce che «non ha tuttavia lavorato in contatto sufficientemente stretto con noi (Soe) per consentire di esprimere un parere positivo sul suo mantenimento in servizio. […] Interrogato sui progetti futuri, egli aveva risposto di voler lavorare a tempo pieno come membro del Partito d’Azione» (p. 133).
Massimo (Max Salvadori), giornalista freelance dalla vita a dir poco avventurosa, nacque da nobile famiglia. Era il figlio secondogenito del conte Guglielmo Salvadori Paleotti, liberale con solidi addentellati nel mondo intellettuale anglosassone, e di Giacinta Galletti di Cadilhac. Criticò Mussolini, fu recluso a Roma, Napoli, e nel gennaio 1933 trasferito a Ponza «per scontare la condanna a cinque anni di confino» (p. 139), ma il 17 luglio 1933 riacquistò la libertà a condizione che risiedesse nella residenza materna, a Fermo. Fu attivo nel movimento politico “Giustizia e Libertà”, in ottimi rapporti con gli inglesi, arruolatosi nella Royal Army, combattente decorato con la Military Cross, raggiungendo il grado di tenente colonnello, nominato ufficiale di collegamento alleato presso il Comitato di Liberazione Alta Italia (Clnai), impavido uomo chiave della Resistenza.
Leo Valiani, all’anagrafe Leo Weiczen, nacque a Fiume nel 1909 da famiglia piccolo-borghese di religione ebraica, «nel settembre del 1926 raggiunse Milano per prendere contatto con Pietro Nenni e Carlo Rosselli, fondatori della rivista Il Quarto Stato, che lo presentarono a Filippo Turati, Claudio Treves e Giuseppe Saragat» (p. 154). Arrestato e confinato a Ponza, vi conobbe Giuseppe Berti che lo persuase ad entrare nel Partito comunista d’Italia. Fu esule prima in Francia, poi in Messico, critico con le posizioni comuniste, da cui progressivamente si allontanò, per sposare ideali socialisti e libertari. Il rapporto inglese concernente Valiani, lo descrive come « “un nostro agente che ha fatto un insuperabile lavoro presso il Comitato di Liberazione di Milano, della cui attività ci ha sempre mantenuti informati. […] Il suo operato è stato per noi di valore inestimabile. […] Egli ha prestato i più notevoli servigi collaborando con la First Special Service Force nel territorio occupato dal nemico con l’autorevolezza derivatagli dall’essere stato uno dei principali leader del movimento di resistenza italiano”» (p. 157).
Su Leo Valiani, infine, c’è nel volume un’appendice che riguarda particolari sull’esecuzione senza processo di Benito Mussolini. Si segnala per la preziosità documentaria un carteggio tra Valiani, nominato negli anni Ottanta senatore a vita dal presidente Sandro Pertini, e lo storico reatino Renzo De Felice, che a tutt’oggi resta il massimo biografo di Mussolini. A De Felice, che scavava in archivi e memorie e faceva interviste per tratteggiare gli ultimi istanti del dittatore fascista, Valiani apparve evasivo.
Quest’ultima, per ora, fatica di Eugenio Di Rienzo è rivelatrice di aspetti poco noti e chiari sulle dinamiche del Secondo conflitto mondiale e perciò merita di essere letta e meditata.
Link al libro https://neripozza.it/libri/sotto-altra-bandiera