Stefano Satta Flores
di Claudio Vercelli
Questo 25 aprile mi ha fatto tornare in mente il compianto, e mai sufficientemente apprezzato, Stefano Satta Flores, venuto a mancare molto prematuramente oramai poco meno di una quarantina di anni fa (era il 1985). Purtroppo, nella sua troppo breve esistenza, ha potuto esprimere di sé solo una parte delle sue grandi capacità attoriali, coniugate ad un rigore politico interiore che si esprimeva nella caratura delle sue interpretazioni. Quand’anche facesse la parte, che gli piaceva tanto, dell’intellettuale della sinistra radicale destinato ad essere sempre al palo, emarginato per via dei suoi stessi tic nevrotici. Era un cinema (penso a “I basilischi”, del 1963; oppure ad una pellicola di molto successiva, quella di Scola, “La terrazza”, del 1980, impietoso ritratto di un declino collettivo, non solo politico ma anche esistenziale) che precedeva quello, poi molto celebrato, di un Nanni Moretti. Tanto per fare un nome. Un’altra epoca, dove le speranze e le illusioni si incontrano e poi si impastavano con le sopravvenienti sconfitte, le delusioni, il tramestio inconsulto e disordinato che precede il silenzio del crepuscolo. In questo caso non degli dei bensì delle donne e degli uomini che avrebbero voluto dare l’assalto a cielo e si sono invece trovati a cadere sulla dura terra, brulla, agra e marmorea. Va bene, Stefano, il mio 25 aprile quest’anno lo dedico anche al tuo ricordo. Con affetto.
