Semplicemente Adriana Zarri

di Armando Pepe

Pensando alla Chiesa di papa Francesco, aperta, inclusiva, tollerante sovviene il ricordo di Adriana Zarri, teologa autodidatta, di origini emiliane, precisamente di San Lazzaro di Savena, che lasciò presto per un itinerario impreciso, affidato al caso e alla volontà. Della teologa, oltre che scrittrice, giornalista e, per un certo tempo, anche personaggio televisivo, si occupa Mariangela Maraviglia nel volume «Semplicemente una che vive. Vita e opere di Adriana Zarri», edito da Il Mulino nel 2020. Si potrebbe dire, parafrasando il titolo, che Adriana Zarri sia vissuta a lungo ed operosamente, segnata da una concretezza contadina sempre attiva e vigile. «La campagna in cui nacque, il 26 aprile 1919, era quella di San Lazzaro di Savena, antico lazzaretto di Bologna e all’inizio del Novecento grosso borgo alle porte della città, a cui la grande guerra appena conclusa aveva lasciato un bilancio pesante di morti e una situazione economico-sociale assai critica» (p. 15). Nata in una famiglia profondamente cattolica, funestata precocemente dalle morti dei due fratelli, Adriana Zarri, bandendo la rassegnazione, si avvicinò gradualmente ad una vita religiosa, che si attuava pienamente nella preghiera e nello studio dei teologi. «Al di là delle letture personali e dell’istruzione liceale, importanti occasioni formative furono offerte alla giovane Zarri dalle due istituzioni a cui aderì nella sua giovinezza: l’Azione Cattolica, frequentata negli anni bolognesi, e la Compagnia di San Paolo, in cui entrò nel 1942» (p. 23). Lettrice onnivora, si approcciava al mondo con voracità ed intensità costanti, spinta da una voglia di sapere, divenuta la sua stessa ragione di vita. Adriana Zarri trovò nella Compagnia di San Paolo una comunità ideale; «scriveva di aver letto le costituzioni, di esserne stata “colpita e attirata”; il dialogo con un cappuccino le confermò che la propria “vocazione all’arte” poteva essere compatibile con l’appartenenza all’associazione» (p. 27). Omonima della più famosa e antica fondazione torinese, la Compagnia di San Paolo nacque nel 1920, «all’interno dell’Azione Cattolica milanese, su ispirazione del cardinale Andrea Carlo Ferrari e per iniziativa del suo segretario don Giovanni Rossi» (p. 27). Essa era, «nel 1941 una congregazione religiosa di dimensione internazionale, che univa laici e preti dediti a opere di apostolato sociale e culturale in diversi ambiti: dalla gestione di mense e dopolavoro nelle fabbriche, all’accoglienza e rieducazione di ex detenuti, all’organizzazione di corsi di studio e formazione, alla promozione del turismo religioso. Una pluralità di attività che richiedeva la buona preparazione culturale dei suoi associati e aveva favorito negli anni Venti e Trenta un dinamico impegno nel settore pubblicistico» (p. 27).

Del fervore intellettuale cattolico, animato da figure del calibro di Giovanni Papini, Piero Bargellini, Carlo Bo, Nicola Lisi, Carlo Betocchi, si intrise anche Adriana Zarri, che fece parte della Compagnia dal 1942 al 1948; sei intensi anni, durante i quali, con costanza e laboriosità mise a frutto le sue innate doti di scrittrice in decine e decine di articoli per quotidiani e riviste. Rimarrà, quella della scrittura, una costante, da cui trasse il solo sostentamento per vivere. La sua esistenza era garantita dal frutto del suo ingegno, esclusivamente, perché rifiutò sempre altri introiti. Fu una delle poche donne teologhe, senza studi accademici, ad essere accolta nell’Associazione Teologica Italiana (ATI). Dopo l’esperienza milanese, entrò in contatto con ambienti toscani, risultando «“la prima firma femminile ospitata dalla rivista fiorentina “L’Ultima”, come le scriveva il direttore Adolfo Oxilia, inaugurando nel 1949 il corposo carteggio per concordare i suoi interventi. Mario Gozzini- redattore del periodico e a lungo corrispondente di Adriana- avrebbe rievocato nelle sue memorie un contatto “casuale”, da cui sarebbe sorta una simpatia reciproca; in realtà l’incontro fu favorito dall’entusiasmo di un lettore e collaboratore di “L’Ultima” per il primo libro di Adriana Zarri, di cui sollecitò la recensione» (p. 37).

Toccò temi che potevano apparire, e in parte lo erano, scottanti, poiché «l’intento ambizioso di Adriana Zarri era però quello di inserire la sessualità in un vasto disegno metafisico, presentandola come manifestazione del mistero trinitario». (p. 48) Dotata di una vis polemica non seconda a nessuno, Adriana Zarri, fermamente ebbe da ridire delle contestazioni che Elémire Zolla mosse alla messa postconciliare, priva del latino, ma anche delle raffinate argomentazioni di Don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana, il quale sosteneva apertamente che «“non si può avere carità per i fascisti. O sono bischeri o sono in malafede. Nell’un caso o nell’altro non servono”» (p. 61). Secondo la visione ecumenica di Adriana Zarri, tutto rientrava nell’imperscrutabile disegno divino, per cui non si poteva dire di uno che fosse inutile.

Fu uno spirito ramingo; il vescovo di Ivrea, monsignor Luigi Bettazzi le mise a disposizione il castello di Albiano, dove lei abitò per alcuni anni. «Il castello di Albiano, antica dimora estiva dei vescovi di Ivrea, trasformato in villa nel 1600, era stato da poco lasciato dai quattro Padri Bianchi che vi risiedevano, era vuoto e fu il naturale approdo dell’aspirante eremita» (p. 66). In anni di radicalità cristiana, in cui fiorivano ovunque comunità di base, la teologa emiliana volle affermare la propria fede ritirandosi in una vita anacoretica. Ebbe corrispondenze epistolari anche con gli scettici appartenenti alla Chiesa, sia con chi rimase al suo interno, come padre Ernesto Balducci e l’arcivescovo brasiliano Hélder Camara, sia con chi ne fu estromesso, come Dom Giovanni Franzoni, di cui, in un proprio articolo, Adriana Zarri riportò che nel luglio 1973 diede «le dimissioni dalla prestigiosa carica di abate della basilica di San Paolo fuori le Mura, dopo essersi distinto, con la comunità cresciuta intorno a lui, per alcune opzioni antimilitariste e anticoncordatarie e, soprattutto, per aver denunciato in una lettera pastorale dalla larga diffusione, La terra è di Dio, “le alleanze del Vaticano col mondo del denaro e della speculazione edilizia”» (p. 69).

Trasferitasi alla cascina Molinasso, sempre in Piemonte, ne curò gli orti che divennero rigogliosi tanto da meritare un articolo nella rivista di settore Gardenia. Condusse le proprie battaglie morali con il caratteristico piglio contraddittorio, tanto che «nel 1974 si espose sottoscrivendo insieme ad altre personalità “l’appello dei cattolici democratici per il no al referendum sul divorzio” e accettando di intervenire nella campagna referendaria. Nel 1975, invitata dal leader del Partito radicale Marco Pannella, accettò non solo di firmare per il referendum abrogativo delle norme del Codice penale Rocco che punivano l’aborto, ma anche di far parte della delegazione presentatrice della richiesta» (p. 87). Strinse amicizia con Sergio Zavoli e Rossana Rossanda, gradita ospite al Molinasso, che la invitò a scrivere per Il manifesto. Verso gli inizi degli anni Ottanta apparve in vari talk show televisivi; Maurizio Costanzo la intervistò su Rai Uno il 21 febbraio 1980. A seguito di una violenta rapina, nel 1984 Adriana Zarri dovette abbandonare il Molinasso per un luogo più sicuro, ritirandosi a Ca’ Sassino, ancora una volta Piemonte.

Divenne famosa e conosciuta dal grande pubblico per via della partecipazione a Samarcanda, trasmissione televisiva condotta su Rai Tre da Michele Santoro, dove spesso raccontava apologhi morali di forte impatto. Rispettata da tutti, fu amica anche di chi aveva posizioni ecclesiali nettamente differenti dalle sue, come il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Morì, a 91 anni, il 18 novembre 2010. Il libro di Mariangela Maraviglia, frutto di notevole scavo archivistico, ne ripercorre tutte le tappe con puntigliosità e con una narrazione avvincente.

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