Santa Giulia di Corsica
A Brescia, tra le opere più sorprendenti in mostra al Museo di Santa Giulia, il seicentesco crocefisso di Santa Giulia di Corsica – scultura di Giovanni e Carlo Carra – è uno dei rari esempi di crocefisso femminile. Le fonti seicentesche bresciane ricordano con grande ammirazione la Santa Giulia in croce nella nuova chiesa delle monache benedettine. Ne ricordano anche gli autori, Giovanni e Carlo Carra, figli di Antonio, titolare della bottega più importante nel panorama della scultura del XVII secolo in città e in provincia. Gran parte dell’esecuzione dell’opera sembrerebbe spettare a Carlo, che rivestì autonomamente un ruolo di assoluta importanza come “ingegnere soprastante alla fabbrica” del Duomo Nuovo, tra 1621 e 1659. Siamo alle soglie del Barocco, ma il giovane Carra riesce ad attenuare certe esasperazioni formali tipiche del Manierismo, grazie ad un recupero dell’arte serena ed equilibrata del trentino Alessandro Vittoria, lo scultore che aveva scolpito il bellissimo Cristo del monumento al vescovo Bollani per il Duomo Vecchio. La commistione tra sensualità ed estasi, connaturata alla raffigurazione di una donna seminuda, trova spazio solo in una dimensione fatta di passioni trattenute, di sorrisi e di dolori vissuti individualisticamente. Carra risolve quindi con la massima diplomazia l’inevitabile confusione generata dalla similitudine tra il martirio di Giulia e la morte di Cristo; scelta come simbolo del martirio femminile in un monastero di donne, Giulia deve mostrare il seno per affermare la propria femminilità, a braccia aperte e inchiodate, senza velo; anche i capelli lunghi cadono in avanti ma vengono gettati dietro le spalle. L’artista riesce a raffigurare il pudore di Giulia in un corpo che non freme; affida l’espressione dell’estasi e del dolore al movimento del panneggio, alla tensione del volto verso il Cielo. Sono ancora lontane, nel tempo e nello spazio, le sensualissime visioni del barocco romano che avranno la massima espressione in Gian Lorenzo Bernini; ci sono fermenti che, però, nemmeno Brescia può ignorare; la natura, con le sue sfaccettature, con le necessarie mediazioni, chiede il suo posto nella storia della scultura locale.
