Ricordo che Fernanda Pivano mi chiamava…

di Gian Paolo Serino 

Ho incontrato diverse volte fabrizio.deandre. In più di una occasione, mi ha insegnato che anche le virgole in un testo hanno un significato netto, preciso. Mi ha fatto conoscere Villon, il poeta assassino, ed io Charles Cros (poeta da cui Rimbaud ha copiato molto). La volta che mi sono divertito di più, però, è stata alla presentazione del libro “I miei quadrifogli” di Fernanda Pivano. Fernanda mi fece questa dedica: “Tra dieci anni diventerai così famoso che mi metterai soggezione”. Con la Pivano facevamo spesso presentazioni insieme e io per lei ero “lo stronzo”: per me la beat generation era superata. Allora quella sera festosa, ma per alcuni di solitudine perché Robinson Crusoe bussa sempre in mezzo ai sorrisi, le risposi. “Tra dieci anni, Fernanda? Ma è un augurio di lunga vita a me o un augurio per me”? De André sorrise, di gusto ma imbarazzato come l’ironia batteva alla sua porta di uomo educato e nobile. Non era educata come risposta, ma anche la Pivano sorrise. Poi arrivò Jovanotti, “un grande poeta” per la Pivano, e io e De André ci rifugiammo in una nuvola rossa. Parlammo di “Spoon River”, io preferivo l’Ohio di Sherwood Anderson, lui Brassens e io Etienne de La Boetie, lui Pasolini e io Bianciardi. Poi gli parlai di Comacchio, l’unico paese italiano dove i rom non vanno mai. Andarono una unica volta e li buttarono dal ponte. Poi partì una freccia al cielo felici ognuno di tornare nel proprio pozzo, le nostre case, i nostri letti, i nostri libri, le nostre smisurate preghiere. Lui tornò con Dori Ghezzi, io con Massimo Bubola. SE ricordo bene feci un pochino più tardi…

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