Quella mattina, davanti alla cassa armonica

di Matteo Cosenza
Scusami per i sacrifici e le rinunce che hai fatto per me. Oltre mezzo secolo di vita insieme, quarantotto dal matrimonio, sono una vita, la nostra vita. Non so neanche immaginare che cosa sarebbero stati senza di te, ma soprattutto rifletto sui sacrifici, non i miei perché tutto quello che ho fatto, poco o molto che sia, non ci sarebbe stato senza i tuoi immensi sacrifici. Ci penso, anche se serve a poco, perché noi siamo stati figli di un tempo, di una mentalità, di una cultura.
Sulla donna, moglie e madre, tutto o quasi il peso della famiglia, sull’uomo, marito, padre e soprattutto perno economico (ma questo nel nostro caso non è vero perché tu hai sempre lavorato): così era e noi, io soprattutto, non ci accorgevamo che il mondo stava cambiando, in parte già lo era, e noi “vivevamo” la rivoluzione ancorati ancora a una mentalità superata nonostante fossimo impegnati anche politicamente a farla la rivoluzione.
Galeotta fu la politica. Quando quel giorno tu passasti davanti alla Cassa Armonica di Castellammare dove, tanto per cambiare, io ero alle prese con un’iniziativa per il Vietnam, i nostri destini furono segnati. Non so se mi scegliesti tu o lo feci io ma in quell’istante iniziò il nostro viaggio comune.
Il nostro matrimonio fu un evento politico, diciamo una manifestazione. Non ci furono inviti perché tutti erano invitati e il grande salone dell’anagrafe di via Roma si riempì dentro e fin sulla strada di compagni, colleghi e conoscenti e ovviamente familiari venuti anche da Ischia, questi ultimi a dir poco spaesati per l’inconsueta modalità del matrimonio. Celebrò il sindaco Flavio Di Martino (giunta di sinistra, ovviamente) e l’indimenticabile Carlo Fermariello fece un bel discorso. Torta, champagne e via. Insomma ci mancava solo la bandiera rossa. Ma noi eravamo così, sognavamo, pubblico e privato si sovrapponevano.
Poi la convivenza svoltasi senza che ci fossimo dati i ruoli, come un fatto naturale, diciamo scontato. Io ormai, anche se precariamente, facevo il mio amato mestiere (i primi anni a 270mila lire al mese e in nero, ma l’editore era dalle parti di via dei Fiorentini e anche il lavoro era un mix di professionalità e militanza), tu facevi la moglie, poi la madre di Valentina e Ilaria, le nostre pupille, insegnavi precariamente passando, non so come, dalla montagna di Massaquano al Parco San Paolo e continuavi alla grande l’attività politica. La mattina andavo a Napoli da dove tornavo a sera inoltrata, quasi notte, e tu come un Ulisse al femminile scrivevi con la tua vita, la tua passione e la tua dedizione un’Odissea che neanche Omero e Joyce avrebbero concepito.
Da subito diventasti un’affermata dirigente politica perché facevi poche chiacchiere e molti fatti come tante iniziative testimoniarono, a partire dall’asilo del San Marco che si realizzò grazie a te fino alla campagna per il consultorio o all’organizzazione insieme a Ida Valestra della vaccinazione anticolera. Fosti notata rapidamente e dalla federazione del partito, infatti ti venne fatta la proposta di diventare la responsabile provinciale della commissione femminile. Il tuo percorso era segnato e quella richiesta fu accompagnata dalla probabilissima indicazione di una candidatura alla Camera. Io non fiatai, lasciai che decidessi tu, un silenzio vile figlio di egoismo e di una visione dei ruoli vecchia e sbagliata. E tu con la tua inossidabile generosità decidesti di fare la moglie, la madre e l’insegnante. Altre compagne presero il “tuo” posto e anche il glorioso cursus honoris che ne seguì e che probabilmente sarebbe stato tuo.
Perdonami per tutto questo. Anche io, nonostante i proclami e gli slogan, ero il frutto di un’arcaica mentalità. E che è stata dura a morire. Ancora una quindicina di anni fa quando mi fu proposto di andare a lavorare in Calabria io l’ho fatto trasferendomi mentre tu ogni fine settimana facevi la pendolare per venire a trovarmi.
Dunque, sarebbe troppo comodo cavarsela con delle scuse, anche per questo intervento che è pubblico perché credo che la nostra storia parli di noi e anche di altro. Di privato c’è il mio amore che come il buon vino, se ben conservato, migliora. E la nostra felicità di stare insieme dimostra che abbiamo saputo conservarlo come la cosa più preziosa delle nostre vite. Anna grazie. Di tutto.