Presa diretta sull’Abilitazione Scientifica Nazionale

di Nicola D’Elia

Qualche tempo fa, abbiamo letto in questo blog che l’Abilitazione Scientifica Nazionale garantirebbe una selezione meritocratica dei ricercatori e dei docenti universitari. Ma è davvero così?

La puntata del programma televisivo “Presa diretta” andata in onda lunedì 7 febbraio ha raccontato una storia diversa, sulla quale merita richiamare l’attenzione.

Il ruolo dell’ASN è venuto in primo piano a proposito dell’inchiesta, avviata dalla Procura della Repubblica di Firenze nel 2013, che ha coinvolto diverse decine di docenti di Diritto Tributario di tutta Italia. L’operazione, denominata “Chiamata alle armi”, è partita dalla denuncia di Philip Laroma Jezzi, all’epoca dei fatti ricercatore presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Firenze.

Laroma aveva presentato domanda per ottenere l’abilitazione come professore di seconda fascia ma, nel corso di un colloquio avvenuto nello studio del professor Pasquale Russo – suo docente di riferimento –, fu invitato a ritirare la candidatura. Per quale ragione?

Russo glì spiegò che la lista degli abilitandi era già stata preparata e non comprendeva il suo nome. Alla domanda di Laroma se l’esclusione dipendeva dal fatto che non fosse idoneo, il professore rispose: “Non è che non sei idoneo alla seconda fascia, non rientri nel patto”. Com’è noto, Laroma registrò il colloquio e lo portò all’attenzione dei magistrati.

L’inchiesta che ne seguì ha fatto emergere un sistema in base al quale il reclutamento universitario avviene attraverso accordi di potere tra docenti che sono ai vertici delle società scientifiche. Le commissioni per le abilitazioni si limitano a ratificare decisioni che vengono prese al di fuori delle sedi istituzionali e sono fondate su logiche di appartenenza.

A tal proposito, le affermazioni di Laroma – intervistato dal conduttore Riccardo Iacona – sono state di una perentorietà disarmante: “I concorsi sono semplicemente una buffonata”. E ancora: “Fare ricorso al Tar su un giudizio è [considerata] una cosa da infami”.

Nulla rende meglio l’idea di come funziona il meccanismo del reclutamento universitario delle parole di un celebre brano di Luciano Ligabue che così recitano: “Siamo le riunioni qui nel retro di bottega/siamo le figure dietro le figure/siamo la vergogna che fingiamo di provare”.

Ma un’ulteriore considerazione si rende necessaria alla luce di quanto documentato da “Presa diretta”.

È intollerabile in un Paese civile che personalità che ricoprono cariche istituzionali negli atenei (rettori, presidi di facoltà, direttori di dipartimenti), le quali, quando intervengono in veste ufficiale, si ergono a paladini dei valori della Costituzione, usino in privato un linguaggio violento e intimidatorio nei confronti di cittadini che intendono avvalersi degli strumenti previsti dall’ordinamento giuridico per tutelare i propri diritti e accertare la regolarità degli atti della pubblica amministrazione.

In conclusione, è evidente che le conseguenze della malauniversità sono devastanti: il prestigio del mondo accademico non è minato solo dall’assenza di meritocrazia, ma anche dalla mancanza di etica pubblica di cui danno prova i suoi organi dirigenti. Inoltre, non è lecito sorvolare sulla condizione esistenziale di coloro che hanno osato attaccare il Quartier Generale, andando incontro a ritorsioni di ogni genere e venendo isolati dai colleghi. Chi ha ascoltato le loro storie avvilenti, ha visto nei loro volti il segno della sofferenza per le ingiustizie subìte e ha letto nei loro occhi il dolore.

È difficile non provare disprezzo per quanti, dediti esclusivamente allo squallido “commercio dei posti”, hanno tolto loro il sorriso.

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