Perché amo il Molise
di Franco Valente
Siamo in pochi, ma non sono il solo.
Lo amo come lo amano quelli che ogni giorno perdono un po’ di tempo a leggere le considerazioni che faccio ad alta voce provocando anche qualche malumore di chi pensa che il cosiddetto “orgoglio sannita” sia una peculiarità che discende solo dalla propria appartenenza geografica.
Anzi, credo, sia pure giunto il momento di sfatare la leggenda secondo cui i Sanniti non si sarebbero mai sottomessi al potere dei Romani conquistatori.
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Brevemente e sinteticamente.
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Con la definitiva sconfitta dell’esercito sannitico nel 295 a. C., insieme alla sistematica demolizione di tutte le fortificazioni che difendevano il territorio, anche della città di Sannia ormai si era persa ogni traccia fisica.
Così racconta Floro: In cinquanta anni (l’esercito romano), grazie ai Fabii ed ai Papirii ed ai loro padri, sottomise e domò popoli liberi, distrusse a tal punto le stesse rovine delle città, che, se oggi si voglia cercare Sannio nel Sannio, difficilmente si troverà qualcosa che giustifichi la celebrazione di ventiquattro trionfi.
(FLORO, Epitome I, 11.8: “hos tamen quinquaginta annis per Fabios ac Papirios patresque eorum liberos subegit ac domuit, ita ruinas ipsas urbium diruit, ut hodie Samnium in ipso Sannio requiratur nec facile appareat materia quattuor et viginti triumphorum”.)
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Per duecento anni le tribù sannite coltivarono il sogno di una riscossa.
Il tempo per un ribellione a Roma sembrò giunto nel 90 avanti Cristo.
Il Sannio era stato romanizzato ma sopravviveva una sorta di ancestrale desiderio di ritorno alle origini.
Gran parte degli storici della nostra regione ripetono senza fantasia quello che Vincenzo Ciarlanti (G.V.
CIARLANTI, “Memorie historiche del Sannio”, Isernia 1644) aveva scritto quasi quattro secoli fa.
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I nostri storici non hanno fatto il benché minimo sforzo per capire se esista una legge economica che abbia determinato le guerre sannitiche e quale sia stato l’automatismo che ha generato l’ineluttabilità degli avvenimenti.
Provo a spiegarmi con l’avvertenza che le sintesi non sono verità assolute, ma sollecitazioni dialettiche che servono per avviare un ragionamento.
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L’economia romana è di tipo agrario e la ciclicità della produzione è legata alle quattro stagioni: Primavera, Estate, Autunno, Inverno. Con tutto quello che ne consegue.
L’organizzazione sociale presuppone l’esistenza delle città.
La rete stradale è di fondovalle.
Il sistema di misura delle distanze è il miglio.
La distanza tra le città è calcolata sulla capacità di spostamento di un esercito in una giornata di cammino. Una ventina di miglia.
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L’economia sannita è di tipo pastorale-armentizio e la ciclicità della produzione è legata a due stagioni.
Quella dei pascoli invernali di pianura (Campania e Puglia) e quella dei pascoli estivi di montagna (Abruzzo, Lazio e Molise).
L’organizzazione sociale nega la possibilità di esistenza delle città. Le strade sono di crinale. I riferimenti politici territoriali sono i centri religiosi di culto.
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Agricoltura e pastorizia sono due sistemi economici incompatibili tra loro.
Le guerre sannitiche nascono quando ai Sanniti vengono sottratti i territori dei pascoli invernali della Campania e della Puglia.
La Lega Italica nasce per riconquistare i pascoli invernali della Puglia e della Campania.
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Una guerra illogica perché i Romani avevano nel frattempo modificato l’organizzazione della proprietà con l’assegnazione delle terre ai veterani o ai soci alleati e, soprattutto, avevano inventato la “stabulazione invernale” delle ville rustiche.
I Sanniti alla fine si rassegnarono.
Con le buone maniere, compresa la castrazione etnica, Silla mise fine alle ostilità.
Nell’88 avanti Cristo Silla espugnava Isernia e l’orgoglio sannita si trasformava, come è nell’ordine naturale delle cose, in opportunismo politico.
I Sanniti si piegarono ai Romani e alla fine li pregarono in ginocchio perché venisse concessa loro la cittadinanza romana.
E non a tutti fu concessa…
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Per gli approfondimenti vi consiglio
