Pagine della mia vita

di Gian Paolo Serino 

Ho frequentato le sale buie di cinema fatti di inferni di carne tatuata nelle ossa del sud del sud dei santi. Ho frequentato la notte senza fine di albe di eroine mancate, di donne fatte di ieri, di bellezze plagiate dalla mia mente che ti sfiora i pensieri e li occupa cambiandoli sino a che non mi piacciono più. Mi sono fatto del male frequentando la bellezza di una mente mutilata da troppe idee per essere vere. Ho visto il male. Ho incontrato il Diavolo che era il corpo di una donna che mi possedeva con il ventre arcuato da un piacere carnale che non ho mai capito. Ho frequentato il Male e l’ho sconfitto inventandogli la storia di un uomo perduto nei passi che altri non avevano affrontato. Racconto la mia storia perché non so fare altro, perché non esiste romanzo più spietato di quello che ho dovuto vivere appiccicato addosso come un dolore, come la solitudine di un padre senza figli, come la madre che giace sul bordo di una strada buia con l’utero strappato a morsi dai fanali di automobili troppo veloci per non interrompere la corsa contro un guardrail di sensi, di colpa. Ho imparato a scrivere per difendermi, ho sempre letto per legittima offesa. Sono approdato al Bene e ogni giorno gli ricordo che lo maledico, che gli strappo le ali coi denti perché fa troppo male per essere bene. Ho visto la mia vita di spalle, l’ho affrontata come un incidente stradale con me stesso e ne sono uscito miracolosamente illuso. Ho amato come nessuno ha fatto, allontanando tutti da me, dalla mia realtà. Sono un uomo insopportabile fatto di futuro mentre il presente lo impasto con un passato che non è mai prossimo.
Sono solo. Mi trovo davanti ad un uomo con una pistola. La strada è deserta. E’ piena di gente in un sabato sera di intelligenze offese. Voglio riscrivere “Robinson Crusoe” che per sentirsi davvero solo oggi dovrebbe naufragare in un’isola metropolitana, quella fatta di verde espiatorio e di asfalto e di cemento dove respiro. Apro ferite fetali che non sono mai diventate fatali. Ho perso un padre. Ho perso un figlio. Ho perso. Ma non ho mai perso me stesso, non ho mai perso la mia guerra contro il vuoto di teste legate alla corrente dell’esistenza. Sono crudelmente solo. Sono ferocemente solo. Sono come l’ultimo soldati giapponese che non sa che la guerra è finita. Eppure intorno vedo macerie morali che crollano in catastrofi quotidiane che sono la mancanza di un perché. Invoco Dio. E non lo trovo. Non mi fa male la croce. Mi fanno male i chiodi. Una Donna mi sta calpestando e mi fa dimenticare perché scrivo, perché sono io. Per un attimo lungo come una sessione dimentico chi sono, il cuore riposa, la memoria si fa oscura. Non c’è niente che abbia bisogno di inventare. I polmoni mi trafiggono in una morsa di un dolore che non posso dire, che non posso chiamare. Cateteri venosi centrali mi trapassano la gola, respiro a fatica. Poi fumo. Non ho smesso di fumare, mai. Fumare mi fa credere di essere immortale. Perché è questo che voglio. Essere immortale. Ma non per me. Per quel figlio non ancora venuto al mondo che un giorno, una volta, abbiamo perso in due. Tu avevi una cuffietta verde e un camice che offendeva i tuoi occhi da ragazzina. Io gridavo “no”. Ma era dentro di me. Fuori non uscivano che parole gentili perché tu non soffrissi più di quel che i tuoi occhioni mi dicevano, come se dal tuo sguardo uscissero delle piccole mani che tendevano a me in un abbraccio. “Aiuto, Gian Paolo, Ti prego, sono piccola e qui, in questo ospedale ospedale ci sei soltanto tu”. Io dimenticavo e sorridevo. Ma dentro di me conto ancora ogni giorno i giorni di quel bambino. Quel bambino. Che forse sono diventato io. Sono diventato me. E non è facile vivere da soli, per rispettare la vita, per pagare il mio prezzo, come un uomo, come un essere umano. E allora ogni volta che ti cerco sembra che cerco me. Ma io non ci sono più. Sono stato mutilato da troppe ferite per poter sorridere ancora. Non c’è pena. Non c’è colpa. C’è solo la vita che è una somma di errori che non puoi cancellare dal tuo viso. Puoi ingannare gli altri. Ma tu lo sai che non sei morto. Eppure sei diversamente e maledettamente vivo.

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