Pacifismo
di Federico Smidile
Vorrei approcciare la questione pacifismo in maniera meno usuale, partendo da due letture di questi giorni.
Nella sua Utopia Thomas More dedica molte pagine alla guerra. Come il suo amico Erasmo da Rotterdam, More odia la guerra ed è un fermo pacifista. Ma al contrario del grande umanista fiammingo, More non lo è in senso assoluto. Se Erasmo non ammette guerra giusta, More ritiene che non solo sia giusto difendersi da aggressori armati, ma anche intervenire, se richiesto, in difesa di Paesi aggrediti da nemici ingiusti. Addirittura afferma che sia lecito anche intervenire nella vita di uno Stato quando un tiranno opprima un popolo e questi chieda aiuto. Insomma pacifista ma con un dovere di soccorso verso i deboli. Discorso scivoloso ma comunque legato ad una concezione limitata ma esistente della guerra.
Il libro di Winock, invece, si compone di vari saggi relativi a temi politici francesi, ma non solo. Si parla anche del pacifismo e l’autore divide questo movimento in due. Un pacifismo integrale, simile al modello Erasmiano, ed uno relativo, di cui grande esponete è il socialista Jean Jaurès, che nel 1913, tra l’altro, afferma il diritto di difesa da un’aggressione e ritiene che la scelta pacifista non debba dare la sensazione di essere fatta per paura. Per questo ritiene non solo che non vada abolito il servizio militare, ma che la difesa della Patria, unico vero strumento di pace perché la storia si ride dei profeti disarmati, sia di rendere costante nei cittadini il concetto di difesa armata, ma mai di aggressione. Jaurès sarà contro l’intervento nel 1914 e sarà ucciso per questo da un fanatico.
Dunque? Dunque non esiste un solo pacifismo, e nessun vero pacifista lo è per paura o per indifferenza. Si è per la pace ma si può ritenere che la si ottenga anche con il necessario, quanto più ridotto possibile, uso delle armi contro un aggressore.
