Neo-meridionalisti?

di Pino Ippolito Armino
Da qualche tempo alcuni commentatori, a dir poco distratti, hanno preso il vezzo di definire meridionalisti o neo-meridionalisti alcuni autori di fortunati best-seller, come Terroni .
Tra i primi a concedere questa definizione è stato il giornalista Gilberto Oneto, stretto collaboratore di Gianfranco Miglio. Nei suoi “Quaderni Padani”, inoltre, accanto allo sforzo di costruire dal nulla la mitologia fondante di una nuova nazione celtica, la Padania, si trovano già non pochi dei fantastici racconti che saranno poi ripresi dagli autori neo-borbonici. Questo non deve stupire. L’intento dei moderni padani e dei nostalgici duo-siciliani era e resta comune: azzoppare la storia del Risorgimento e rimettere in discussione l’unità nazionale.
Oneto, dunque, sovrappone il neo-borbonismo a una corrente pensiero, il meridionalismo, che tuttavia niente ha a che farvi e gli autori neo-borbonici puntano ad accreditarsi come moderni revisori della storia d’Italia, quando nella realtà essi non fanno altro che deformarla.
I meridionalisti sono studiosi della realtà meridionale, ansiosi di comprendere e di superare il divario fra le due Italie, secondo la fortunata espressione di Giustino Fortunato, ma non mettono mai in dubbio né l’arretratezza storica del Mezzogiorno né la necessità altrettanto storica dell’unificazione nazionale.
Meridionalisti sono Gramsci, Salvemini, Nitti, Dorso, Fiore e molti altri intellettuali contemporanei come Piero Bevilacqua che nel 1986 ha fondato l’Istituto Meridionale di Storia e Scienze Sociali (Imes) e la rivista Meridiana.
Nessuno di loro ha mai prestato fede o avrebbe potuto prestare fede alle strampalate boutade neo-borboniche. È assurdo parlare di genocidio del popolo meridionale e neppure furono un milione le vittime della “conquista regia”; non avvenne nessun saccheggio del Banco di Napoli e non furono portati via, per essere collocati al Nord, i macchinari che facevano del regno delle Due Sicilie, a metà Ottocento, incredibile anche a pensarlo, lo stato più industrializzato d’Italia e d’Europa; non è con l’Unità che prese il via l’emigrazione meridionale e non è quello il tempo nel quale possa essere collocata la nascita delle mafie. Questo solo per riportare alcune, fra le più gravi, deformazioni storiche e trascurando quelle più bislacche. Altre, invero, sono così buffe da suscitare soltanto un moto di ilarità se non trovassero facile presa su di un’opinione pubblica, quella meridionale, pronta ad accogliere quasi per necessità una versione di comodo, giustificatoria e consolatoria delle cause dei suoi perduranti problemi.
Nel sovrapporre borbonismo e meridionalismo si commette, dunque, un grave errore e si offende la memoria di una lunga lista di eccellenti studiosi.
È imperdonabile affiancare, come purtroppo fa Wikipedia, i loro nomi a quelli degli autori di strampalate fiction pseudo-storiche. Chiamiamo i neo-borbonici con il nome che hanno e del quale mostrano pure vanto, rimpiangendo quel Ferdinando II, padre buono e generoso di una nazione estinta per insana cupidigia piemontese.
Neo-meridionalisti? Ma mi faccia il piacere, direbbe Totò.