Nell’autunno del 1903, in una notte piovosa, i briganti assaltarono il villaggio di Kuyucak

di Fabio Libero Grassi
Recensione al romanzo di Sabahattin Ali, Yusuf di Kuyucak, traduzione di Fulvio Bertuccelli e Tina Maraucci, Abano Terme (PD), Casa Editrice Altano, 286 pp., ISBN: 979-12-80448-0-7, edizione cartacea 12,99 €, ebook 6,99€
“Nell’autunno del 1903, in una notte piovosa, i briganti assaltarono il villaggio di Kuyucak, non lontano dal distretto di Nazilli nella regione di Aydın, e uccisero un uomo e sua moglie”
Così si apre Yusuf di Kuyucak (1937), tra le pietre miliari del romanzo turco contemporaneo, opera di Sabahattin Ali (1907-1948). Prolifico autore di romanzi iconici, capaci di reggere alla prova del tempo, come Madonna col cappotto di pelliccia e İçimizdeki Şeytan (“Il diavolo dentro di noi”, non ancora tradotto in italiano), Sabahattin Ali fu attivo pubblicista e fondatore di “Marko Paşa”, una delle più celebri riviste di satira politica nella seconda metà degli anni Quaranta, finita nel mirino della censura. Vicino agli ideali socialisti e incarcerato più volte tra gli anni Trenta e Quaranta, nel 1948, mentre tentava di attraversare clandestinamente il confine con la Bulgaria, cadrà vittima di un assassinio dal chiaro movente politico, le cui profonde motivazioni e dinamiche risultano peraltro tuttora oscure.
Pur non incarnando l’ideale dell’intellettuale rivoluzionario dalla condotta morale sobria e integerrima Sabahattin Ali aveva introdotto nel panorama letterario turco contemporaneo temi sociali sino a quel momento trascurati. E nel corso della sua breve esistenza aveva prodotto opere di estrema varietà, in stridente dissonanza con la produzione narrativa dell’epoca, destinate a esercitare un’influenza perenne su diverse generazioni di scrittori.
Con Yusuf di Kuyucak (pron. Kuyugiàk), la Casa Editrice Altano propone al pubblico italiano, nella pregevole traduzione di Tina Maraucci e di Fulvio Bertuccelli, l’esordio di Sabahattin Ali come romanziere. La storia ha per protagonista il giovane Yusuf, figlio di contadini di un remoto villaggio dell’Anatolia sud-occidentale, che a soli nove anni, rimasto orfano di entrambi i genitori, vede la sua vita radicalmente trasformata. Adottato da Salahattin Bey, un sottoprefetto idealista e di buon cuore che si reca sul luogo del delitto, questo bambino dallo sguardo penetrante ben presto segue la sua famiglia adottiva a Edremit, una cittadina non lontana dalla costa egea. Sradicato dal suo villaggio natale, Yusuf cresce in una casa governata da dinamiche che sfuggono alla sua comprensione. Un padre benevolo ma irrisoluto, intrappolato in un matrimonio infelice da cui evade trascorrendo le sere a bere; la matrigna Şahinde che non cela il suo disprezzo per quel bambino ermetico e introverso a cui fa da contrappunto la dolce sorellastra Muazzez, unico legame capace di risvegliare in Yusuf un autentico affetto. Nell’ambiente provinciale della cittadina, in cui malgrado la modernizzazione delle istituzioni continuano a dominare relazioni di potere premoderne, Yusuf cresce insofferente nei confronti delle convenzioni sociali. Ciò lo porterà a scontrarsi con Şakir, figlio dissoluto del ricco proprietario di una fabbrica, a prendere sotto la propria ala protettrice l’enigmatica giovane Kübra che ne ha subito i soprusi e a battersi per proteggere l’amata Muazzez dalle sue mire.
Il lettore familiare con la letteratura turca resterà forse sorpreso nel notare come il tema della modernizzazione dell’Impero Ottomano, che domina la tradizione del romanzo turco sin dalla seconda metà dell’Ottocento, sia qui affrontato da un’inedita prospettiva. Yusuf di Kuyucak non si concentra infatti sui dilemmi derivanti dall’occidentalizzazione dei costumi, dalla complessa relazione con il retaggio culturale islamico, ma ha il suo centro di gravità nell’asfissia determinata dalle strutture di potere. Si legge dell’ignavia di una burocrazia statale incapace di tutelare i deboli, del potere assoluto del denaro capace di plasmare e corrompere l’essere umano, dell’elementare contraddizione immanente tra oppressi e oppressori. Questo romanzo, che ispirerà profondamente l’opera di scrittori come Yaşar Kemal, non resta tuttavia ingabbiato in schemi e stereotipi sociologici. La lingua singolarmente ricca ma scevra da barocchismi di Sabahattin Ali, profondo conoscitore della realtà anatolica, si dimostra capace di rendere con immagini vivide le musiche e le danze popolari, la semplicità e la ricercatezza dei tessuti che ricoprono gli uomini e gli arredi delle case, i profumi degli ulivi e della natura cangiante della costa egea.
In questo senso, sebbene il romanzo non ambisca a offrire un affresco storico delle drammatiche vicende degli ultimi anni dell’impero ottomano, offrendo deliberatamente uno sguardo provinciale e periferico, permette di cogliere da un punto di vista singolare la diversità etnica e culturale propria dell’ovest anatolico, popolato da commercianti greci, artigiani aleviti, funzionari dall’accento balcanico, senza tuttavia incappare in nostalgiche mitologie di pacifica convivenza e paradisi perduti.
In questo risiede probabilmente la longevità e la fortuna di questo testo, che continua tuttora a formare generazioni di lettrici e lettori in Turchia.
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