Gli anni universitari di Norberto Bobbio (1927-1938)

di Ivano Cimatti 

Nella primissima mattinata del 15 maggio 1935, in diverse città italiane ma sopra tutto a Torino, il Regime totalitario fermò un numero imprecisato, sicuramente oltre il centinaio , di intellettuali, professionisti liberali e svariati imprenditori perché reputati in collegamento col movimento sovversivo Giustizia e Libertà di Carlo Rosselli. La maggior parte dei quali, dopo la liberazione, divenne classe dirigente della resuscitata Italia: ad esempio, per citarne alcuni, Cesare Pavese, Giulio Einaudi, Carlo Levi, Norberto Bobbio, Dante Coda Cap, Ludovico Geymonat. Il fine dell’operazione di polizia giudiziaria  fascista era quello di “annientare” alcuni intellettuali perché stimati un coacervo di propulsione di primissimo ordine di idealità antifasciste capaci “di reclutare gli aderenti particolarmente fra i giovani universitari, contrastando in tal modo l’opera ammirevole svolta dal Partito in seno alle organizzazioni studentesche del GUF e quindi contaminare i gangli più delicati per lo sviluppo futuro della vita intellettuale del Paese ”.

Agli occhi della Polizia Politica fascista, la pericolosità di quel gruppo inoltre consisteva nella loro provenienza: da famiglie dell’alta e florida borghesia e con moltissime relazioni con la realtà ebraica e massonica nonché coll’aristocrazia militare e politica vicina alla Corona , . La sapiente, raffinata ed estesa indagine di polizia giudiziaria  dimostrò che gli indagati erano congiunti e frequentavano gli stessi salotti dell’alta borghesia, gli stessi circoli sportivi e ricreativi, gli stessi locali della “ricca” Torino e si ricreavano in località esclusive, spesso fuori dei confini del Regno.

Come è indubbiamente il caso di Norberto Bobbio, di nuovo all’infuori di veramente pochi fermati (fra tutti, Vittorio Foa ed il maestro liceale del celeberrimo Liceo Massimo d’Azeglio di Torino Augusto Monti) i fermati dell’operazione del 15 maggio 1935 come era già accaduto per la precedente, quella del 12 marzo 1934, per evitare di subire ripercussioni professionali, affettive si dimostrarono,  disposti ad atti di contrizione e di  perdono spesso realmente senza ritegno. Le vicende della presunta antifascista prof. Barbara Allason  ne costituiscono un fulgido esempio. Nel 1934 implicata negli arresti conseguenti al sequestro della stampa antifascista a Ponte Tresa (e con la fuga di Mario Levi) “sacrificò” il giovanissimo Leone Ginzburg, tacciandolo d’essere uno degli ideologici dell’antifascismo torinese collegato a Giustizia e Libertà , ottenne il perdono del Duce sì da poter convivere a Roma col figlio, collaboratore della cattedra di Fisica il quale, due anni dopo, vinse un concorso universitario a Palermo . Ex post è interessante rilevare come, all’infuori di pochissimi indagati, quasi tutti i fermati non patirono alcuna seria e diuturna conseguenza e poterono, in poco tempo, ritornare alle loro occupazioni e sviluppare la propria rete di interessi e di relazioni.

Il futuro Senatore a vita, prof. Norberto Bobbio fu uno dei fermati e proveniva da una famiglia ben inserita nei gangli del potere.

Questo saggetto è un precipitato d’un più ampio romanzo storico, in corso di elaborazione, che intende ricostruire la biografia di coloro che furono coinvolti in quella grande retata e quali furono gli effetti reali, nel tempo, della dedotta operazione di polizia giudiziaria.

Nel caso concreto, il presente articolo non persegue ovviamente l’ardita intenzione di rimaneggiare la biografia del grande filosofo del diritto; negli anni sono state dedicate a Norberto Bobbio moltissime pubblicazioni, anche autobiografiche. Quanto, molto più semplicemente, verificare l’attendibilità delle informazioni su quella parte dell’esistenza del filosofo sabaudo che coincise con il ventennio fascista e che lo vide diventare, in soli 5 anni, da semplice laureato a professore universitario.

“Bobbio”, secondo Claudio Magris, “ha insegnato che la laicità non è un credo filosofico specifico, ma la capacità di distinguere le sfere delle diverse competenze, ciò che spetta alla Chiesa da ciò che spetta allo Stato, ciò che appartiene alla morale da ciò che deve essere regolato dal diritto, ciò che è dimostrabile razionalmente da ciò che è oggetto di fede, a prescindere dall’adesione o meno a tale fede ”.

Bobbio invece per Aldo Cazzullo  è stato uno di quei tanti borghesi sabaudi che, durante il fascismo, non furono eroi ma individui che per timore o per quieto vivere  scelsero di conformarsi all’ideologia imperante. Atteggiamento diffuso in particolar modo nell’Università italiana nella quale moltissimi, per far carriera, dovettero se non puramente vollero adattarsi alle regole imposte dal Regime . L’esempio di Leone Ginzburg che si rifiutò di prestare il richiesto giuramento di fedeltà al Regime, purtroppo, fu un atto quasi isolato.

Negli anni ottanta, la stampa nazionale pubblicò alcuni articoli che, riportando stralci di lettere di Bobbio stesso o della sua famiglia, posero la domanda se Norberto Bobbio fosse stato fascista o comunque non oppositore.

Tutto ebbe inizio quando Il Tempo, pubblicando il 19 marzo 1986 un articolo di Bruno Gatta (Quando De Bono raccomandò Bobbio), trascrisse una lettera del Quadrumviro della rivoluzione fascista, il generale Emilio De Bono del 4 luglio 1938 . In quella missiva diretta a Mussolini, il gerarca raccomandava il nipote di un suo amico, il generale Valentino Bobbio. Il quale giovane, sosteneva De Bono, sarebbe stato estromesso da un concorso universitario “pare per ragioni politiche infondate ” ed inoltre che il padre, il prof. Luigi Bobbio, inscritto al PNF, l’aveva vanamente supplicato sempre nell’interesse del figlio . Mussolini, alla fine avrebbe telefonato a Bottai, il Ministro dell’Educazione Nazionale. L’esito di quella raccomandazione sarebbe stata che Norberto Bobbio fu riammesso nel concorso , invitato a ripresentare i titoli già restituiti in ragione della dichiarazione di espulsione dal concorso ed infine a vincere il relativo concorso universitario: “Bobbio partecipa al concorso ed ottiene la cattedra, all’Università di Siena” (in verità di Urbino) “nello stesso anno 1938, Le date coincidono … La raccomandazione è, in effetti, una pietra angolare del Palazzo che si chiama Italia, grigia e opaca sopravvive alle epoche e ai regimi”.

Il 21 giugno 1992 Panorama pubblicò un articolo di Giorgio Fabre  il quale ottenne ben diversa risonanza. Il giornalista  riportò la lettera che il giovane Norberto Bobbio scrisse a Mussolini il giorno 8 luglio 1935  non appena edotto d’essere stato convocato dalla Questura per l’ammonizione ai sensi dell’art. 164 del R.D. 18 giugno 1931, n 1773 . Il 15 maggio 1935 la Polizia Politica aveva arrestato moltissimi simpatizzanti di Giustizia e Libertà fra cui Norberto Bobbio. Il giovane filosofo, scrisse “dichiaro in perfetta buona fede che l’accusa (essere pericoloso agli ordinamenti politici dello Stato) … non soltanto è nuova ed inaspettata ma anche ingiustificata date le risultanze della perquisizione e dell’interrogatorio, mi addolora profondamente e offende intimamente la mia coscienza di fascista, di cui può costituire valida testimonianza l’opinione delle persone che mi hanno conosciuto e mi frequentano, degli amici del GUF e della Federazione”.

Il giornalista sostenne che grazie all’”intervento di Bobbio e del padre … l’ammonizione, nel giro di 15 giorni, gli venne tolta”.

La stampa nazionale, salvo rare voci discordi, si schierò in favore di Norberto Bobbio. Marco Revelli su Il Manifesto pubblicò un articolo titolandolo gli archivi del ricatto . Giovanni De Luna su L’Unità sostenne che quella lettera sarebbe stata “priva di spessore storiografico in relazione alle interpretazioni dell’antifascismo” e che “le dichiarazioni di fede fascista del giovane Bobbio sarebbero state false ”. Leo Valiani invece parlò, con una breve dichiarazione ripresa da La Stampa, di “speculazione indegna ”. Vittorio Foa, uno dei giovani intellettuali torinesi che maggiormente ebbe a patire nefaste e durature conseguenze dal Fascismo, interpellato da La Stampa, qualificò quella lettera “irrilevante sia politicamente che moralmente ”.

Indubbiamente la lettera, con gli occhi di oggi, è sicuramente imbarazzante ma nondimeno non comprova con certezza quale fosse il coevo intendimento politico di Norberto Bobbio. Il Paese, durante quel ventennio, visse quotidianamente una terribile e spaventosa situazione di soggezione e di sudditanza che resero le persone, nella migliore delle ipotesi, refrattarie ad apparire ed agire liberamente e, troppe volte, troppe, disposte ad umiliarsi con i potenti del momento pur di risultare ed apparire allineate politicamente. Ciò detto, non pare corretto scientificamente esprimere definitivi giudizi sul filosofo sol basandosi sulle sue tardive e quasi postume giustificazioni contenute nella sua autobiografia e/o interviste degli anni ottanta e novanta .

Il filosofo, nella sua biografia, giustifica la sua lettera, quello dello zio e quindi, come vedremo infra, quella del padre grazie ad un ragionamento alquanto grezzo: per impedire che il Regime impedisse lui di diventare professore universitario, in ragione di presunte accuse di vicinanza all’antifascismo torinese, lui (e loro) sarebbe/ro stato/i costretto/i a scrivere suppliche a Mussolini nonché a chiedere raccomandazioni allo zio generale. Obliando di spiegare come fosse stato possibile che suo padre e suo zio potessero interloquire, con relativa facilità, con il Duce e con un gerarca del calibro di Emilio De Bono. Ed, incredibilmente, ottenendo un qualcosa che, a tantissimi altri, antifascisti o meno che fossero, fu realmente interdetto: la revoca dell’ammonizione in neppure 14 giorni lavorativi.

All’epoca dei fatti, Norberto Bobbio aveva “solo” 26 anni e, presumibilmente la facilità di relazionarsi con il potere fascista gli derivava dalla propria famiglia. Per questo appare opportuno ricostruire la composizione della sua famiglia. Sul punto, Bobbio, nella sua autobiografia, spese poche paginette: “Mio padre, Luigi Bobbio, medico chirurgo, originario di Alessandria, primario dell’Ospedale San Giovanni, era uno dei più noti chirurghi della città. Mio nonno paterno, Antonio, era un maestro elementare, in seguito direttore didattico, cattolico, liberale ”.

Norberto Bobbio era figlio di Luigi Bobbio e nipote di Antonio Bobbio ed ebbe, rimasti in vita, quattro zii, tre uomini ed una donna. La nonna era di estrazione contadina ed il nonno un maestro elementare di provincia.

Il nonno era nato in provincia di Alessandria nel 1847 ed ivi deceduto nel 1921. Insegnante elementare in diversi paesi della provincia e, solo verso la fine, divenne direttore didattico . Scrittore di pedagogia e di un fortunato (all’epoca) saggio critico sui Promessi Sposi. Godette dell’appoggio anche patrimoniale di diversi notabili radicali alessandrini fra cui d’un ricco medico  che, in famiglia, venne stimato un benefattore.

Antonio Bobbio, pur essendo un insegnante cattolico, era ben inserito nella realtà borghese sabauda, al cui interno, fra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, prevalente era l’influenza liberale massonica. Sin dalla fine dell’ottocento Antonio Bobbio era aduso di scrivere in diversi periodici laici e radicali, fra cui: Il Fuoco ed Uniamoci, quotidiano degli insegnanti della provincia . A riprova della sussistenza di probabili legami fra Antonio Bobbio e quella certa borghesia, si pongono alcuni illuminanti esempi. Il 15 maggio 1904, il Bobbio parlò in un comizio in difesa della scuola pubblica “pro schola” patrocinato dall’on. Ettore Sacchi, deputato notoriamente massone, più volte ministro. Il Messaggero in data 24 febbraio 1924  pubblicò un obituario firmato dal potente senatore massone, Consigliere di Stato, ripetutamente ministro nonché già Sindaco di Roma Luigi Rava. Il quale scrisse “al vecchio Bobbio sarà stata constatazione grande negli ultimi anni … vedere i suoi figli – allevati con tante pene affettuose – raggiungere altissimi uffici nell’esercito, nell’amministrazione civile nella scienza. Così avrà, con Orazio, potuto ripetere non omnis moriar, sapendo il suo nome nobilmente e degnamente raccomandato dai figli agli anni  avvenire. Antonio Bobbio, maestro ad Alessandria, lasciò dell’opera sua di insegnante tale ricordo che il Comune intitolò una scuola a suo nome. Egli i figli, con non pochi sacrifici, seppe avviare a studi altissimi”.

Il nonno di Norberto fu altresì un deciso nazionalista ed un risolutivo intervista: “la neutralità, a mio avviso, sarebbe un grave errore, assai nociva ai nostri nazionali interessi e forse un attentato, un pericolo serio alla nostra esistenza come nazione. In questa terribile conflagrazione europea l’avvenire d’Italia tutto in questo dilemma si racchiude: o nazione ricostituita più forte, più libera nelle sue energie espansive e né suoi naturali confini; o nazione asservita al superbo vincitore e, forse, peggio, asservita, disgregata nella sua politica compagine ”. Opinioni che, all’epoca, collimavano con il pensiero della borghesia massonica, decisamente orientata in favore dell’intervento nella guerra europea .

Il nonno nel 1907 decise di ritirarsi dopo 41 anni di servizio percependo 1400 lire di pensione dalla cassa previdenziale (allora chiamata Monte pensioni per insegnanti) e 400 lire dal Comune di Alessandria, Il quale anni prima lo aveva assunto per garantirgli una ulteriore fonte reddituale.

Il 19 gennaio 1925, nell’edificio della Scuola elementare di Alessandria in Piazza Vittorio Veneto, venne inaugurata una lapide al “grande educatore”. Oltre ai figli, ai nipoti, ed a diversi colleghi ed ex alunni erano presenti il Questore ed il Prefetto di Alessandria e di Novara . L’evento ebbe ampia rilevanza e la notizia venne data dal settimanale liberale della Provincia di Alessandria, La lega liberale il 25 gennaio 1925  ove il prof. Egidio Sudario scrisse toccanti parole.

Permane il mistero di come un valido ma semplice insegnante di scuola elementare di Alessandria, privo di ulteriori rendite patrimoniali, coniugato, due volte con donne della piccola, se non piccolissima borghesia provinciale, prive pertanto di doti o quant’altro similare, abbia potuto sostenere gli studi dei propri quattro figli: Emilio Cesare e Valentino a Modena presso la Scuola Militare di Modena, Giovanni a Torino presso la facoltà di Giurisprudenza e Luigi presso quella di Medicina. Per i quali, ovviamente, dovette pagare le rette universitarie, il vitto, l’alloggio, il vestiario ed istradarli alle brillantissime carriere cui tutti e quattro pervennero.

Antonio ebbe, dai due matrimoni, numerosi figli alcuni deceduti in tenera età.

Il primo zio di Norberto Bobbio fu Giovanni Bobbio nato nel 1867 e deceduto a Roma nel 1926. Sposato con una nobile, Lucilla Marini da cui ebbe due figli, un maschio morto precocemente ed una femmina Aurelia che, nel 1947, fu distaccata nella segreteria del Ministro della Pubblica Istruzione, il prof. Guido Gonella . Giovanni Bobbio si laureò in Giurisprudenza a Torino il giorno 8 luglio 1890 e l’anno successivo pubblicò una monografia su un tema molto caro al padre Lo Stato e la pubblica coltura.

Giovanni Bobbio entrò, nel 1893, nell’amministrazione civile ed ebbe una rapida carriera: consigliere nel 1905; primo segretario del Ministero degli Interni nel 1911; Capo del Personale del Ministero dell’Interno nel 1912; Direttore Generale delle Carceri nel 1916; Prefetto nel 1919 e dopo essere stato collocato a disposizione del Ministro, il 10 maggio 1920 venne nominato Consigliere di Stato dal Presidente del Consiglio, Francesco Saverio Nitti esponente di punta del partito radicale italiano . Il Bobbio fu nominato membro d’importanti commissioni ministeriali .

Giovanni Bobbio non risulta si fosse mai avvicinato al nascente Regime. Tanto è vero  che, all’atto della sua morte, pervennero alla famiglia telegrammi di condoglianze solo da alti funzionari dell’apparato ministeriale , nessuno dai vertici del Regime. Probabilmente perché il suo nome era connesso col Presidente del Consiglio (Francesco Saverio Nitti, appunto) che lo aveva nominato Consigliere di Stato, il quale, sin dal 1924, era divenuto un personaggio malvisto dal fascismo, obbligandolo ad emigrare precipitosamente dall’Italia.

Il secondo zio del filosofo torinese fu Valentino Bobbio, nato ad Alessandria nel 1872 e deceduto a Torino nel 1940. Militare di carriera che, dopo aver frequentato con successo la Scuola militare di Modena ed averci anche insegnato, fu spesso destinato al Comando del Corpo di Stato Maggiore a Roma ovvero presso il Ministero della Guerra. Nel 1932 venne nominato Generale di Corpo d’Armata e nel 1939, su espressa designazione di Mussolini , Senatore del Regno .

Il generale Valentino Bobbio era in buoni rapporti con il Duca d’Aosta e con diversi esponenti della casa reale. Nel 1935 venne insignito del titolo di Cavaliere di gran Croce della Corona d’Italia .

Alla sua morte, la famiglia ricevette solo telegrammi istituzionali . I giornali dell’epoca, in effetti, diedero risalto alla notizia ma ovviamente senza far emergere alcun legame con il Regime ovvero senza menzionare alcuna eventuale dichiarazione di condoglianza da parte degli uomini del PNF ovvero del sistema politico . A riprova, d’altronde, la sua unica udienza presso il Duce avvenne il giorno del suo ritiro da servizio e comunque solo su presentazione dell’allora sottosegretario al Ministero della Guerra, il generale Alberto Pariani .

Il terzo zio, Emilio Cesare Bobbio era un altro militare di carriera, nato in Alessandria nel 1881 e deceduto a Torino nel 1939 che raggiunse il grado di generale ma di brigata . Fu a lungo collocato a disposizione del Comando del Corpo d’Armata di Torino per incarichi speciali, insegnante presso la Scuola di Guerra di Torino ovvero (1934-37) Presidente del Tribunale militare di Torino. Fu decorato della Croce di Ufficiale all’Ordine della Corona d’Italia e della Croce di Cavaliere dell’Ordine di San Maurizio e Lazzaro .

Da giovane, allorché tenne il comando del 92° reggimento di fanteria, ebbe tra i suoi dipendenti il Principe di Piemonte col quale rimase sempre legato a lui da vincoli di stima affettuosa  ed al quale dedicò il suo libro Le guerre per l’unità germanica per i tipi della Zanichelli.

Allo stato, pertanto, lo zio generale citato sia nella citata lettera di Emilio De Bono  e sia in quella del padre Luigi Bobbio  potrebbe essere Valentino Bobbio ovvero Emilio Cesare Bobbio. Cronologicamente nondimeno, quando scoppiò il caso dell’estromissione dal concorso universitario (giugno/luglio 1938) di Norberto Bobbio, Valentino era un ex generale  ed Emilio Bobbio invece un generale a disposizione presso il Comando del Corpo d’Armata di Torino.

Infine la famiglia Bobbio era composta dal padre del filosofo: Luigi Bobbio. Questi nacque ad Alessandria nel 1876 e morì a Torino nel 1941.

Luigi Bobbio si laureò in medicina presso l’Università degli Studi di Torino nel 1900 ed ebbe come maestri i proff. Antonio Carle e Daniele Bajardi . In una pubblicazione del 1910 il padre si dichiarò debitore dei suoi Maestri . Nel 1907 ottenne la libera docenza in Patologia speciale chirurgica e dimostrativa e nel 1911 Clinica chirurgica e Medicina operatorie . Entrambe le libere docenze furono confermate definitivamente nel 1929 . Il titolo di libero docente è assai probabile fu utilizzato dal padre per fregiarsi del titolo (anche) di professore universitario. Il padre, nominato, a 36 anni, primario di chirurgia clinica dell’Ospedale San Giovanni di Torino, trascorse la sua intera vita lavorativa, ad esclusione del periodo della guerra, nel pubblico nosocomio.

Fin dal primo dopo guerra Luigi Bobbio fu collaboratore intimo del conte prof. Luigi Fornaca di Sessant noto ed influente medico torinese oltre che influente massone sabaudo . Luigi Bobbio era considerato uno dei più stimati chirurghi della capitale sabauda: ebbe come paziente il prof. Luigi Pagliani, uno dei capi della massoneria piemontese . In ragione del suo prestigio ed autorità, nonostante fosse solo libero docente, venne nominato Presidente dell’Accademia di Medicina di Torino ed incaricato di relazionare sul premio Riberi assegnato periodicamente a studiosi di tutto il mondo .

I brevi cenni biografici sulle vite dei quattro fratelli Bobbio evidenziano una comune caratteristica tipizzante: essersi realizzati professionalmente e socialmente ben prima dell’avvento del Fascismo, nessuno di essi, come risulta dalla documentazione storica primaria, è mai stato convinto fascista. Luigi Bobbio, per fare un esempio, conseguì la tessera del PNF SOLO nel 1925 e per di più ad honorem quantunque lo stesso, in una lettera diretta a Roberto Farinacci, sostenne d’averla sin dal 1922 . Il padre ritenne opportuno scrivere nel Periodico Ufficiale del Gruppo Universitario Fascista di Torino, Rivista universitaria .

Il fratello di Norberto, il dott. Antonio Bobbio seguite le orme del padre, dopo essersi laureato nel 1930, divenne aiuto presso la cattedra (del padre) di clinica chirurgica , . Conseguito il titolo di libero docente, nel 1938 in Patologia speciale chirurgica e propedeutica clinica (nella sostanza identica a quella conseguita nel 1907 dal padre), dopo il decesso del padre, tenne la medesima cattedra sino ad oltre il 1950.

Le considerazioni che precedono comprovano una prima parziale conclusione. I figli maschi del nonno paterno scelsero carriere nell’amministrazione pubblica, raggiungendo posizioni d’innegabile prestigio e vertice. Oramai, difficilmente, sarà possibile scoprire come ciò sia stato possibile, grazie a quali ramificazioni sociali e politiche ed usufruendo di quali relazioni.

Da parte sua Norberto Bobbio divenne straordinario di Filosofia del Diritto a 29 anni.

Nella sua autobiografia, il filosofo descrive il suo percorso universitario in poche paginette. “Finito il liceo, nel 1927 mi sono inscritto alla facoltà di Giurisprudenza nell’Università di Torino. Anche l’ambiente universitario contribuì alla mia lenta educazione politica, sia per le lezione di maestri come Francesco Ruffini, Luigi Einaudi e Gioele Solari, sia per i conflitti con il regime che videro coinvolti professori e studenti … Ero inscritto al GUF, Fra un esame ed un altro mi cimentai un concorso promosso dall’ATU (associazione torinese universitaria) per una rivista goliardica…Il fascismo, in realtà, faceva ormai parte della vita quotidiana degli italiani ”.

Il GUF di Torino non era un’allegra combriccola di studenti goliardici ma una violenta associazione politica con a capo un vero fascista, tale Domenico Mittica divenuto tristemente famoso . Il quale, il 28 ottobre 1927, inviò il primo numero del periodico a Mussolini quale atto di devozione e di fede fascista . E l’anno successivo promosse violente agitazioni contro alcuni professori di giurisprudenza, stimati antifascisti fa cui Francesco Ruffini e Luigi Einaudi .

Norberto Bobbio s’inscrisse a 19 anni al PNF e non al GUF (come invece ha sempre sostenuto) “per un episodio di debolezza , ”. Tuttavia, è il caso rilevare come lo stesso Bobbio, in una lettera del 1943, confessò ad un collega d’Università, il prof. Guido Oselladore d’aver sempre conformato la propria attività alle direttive del fascismo e che, in particolare, quando era “studente” aveva “partecipato attivamente alla vita politica e culturale del Guf di Torino ,, ”.

Il brano estrapolato dell’autobiografia di Bobbio è quindi probabilmente assolutorio. Nello stesso anno nel quale il suo spettacolo musicale venne premiato dall’ambiente del GUF (recte PNF), i proff. Einaudi e Ruffini furono, come abbiamo visto, pesantemente attaccati dalle squadracce fasciste capitanate dal Presidente del GUF torinese.

Norberto Bobbio, nella sua autobiografia, alcune pagine dopo, ricostruisce il conseguimento della libera docenza, ancora una volta, in maniera basica: “dopo la seconda laurea, scrissi il mio primo saggio accademico – L’indirizzo fenomenologico nella filosofia sociale e giuridica – e presi nel 1934 la libera docenza insieme con Treves , ”.

Gli eventi, sommariamente, descritti da Norberto Bobbio, si può dire con matematica certezza, non si sono svolti con quella tempistica.

L’11 luglio 1931 Norberto Bobbio si laureò in Giurisprudenza, con una tesi titolata Filosofia e dogmatica giuridica relatore il prof. Gioele Solari , . Il 27 novembre 1931 il giovane filosofo si inscrisse al terzo anno della Facoltà di Filosofia ed il successivo 20 dicembre 1933, relatore il prof. Annibale Pastore  conseguì la sua seconda laurea con una tesi in Filosofia Teoretica.

In un’intervista condotta da Pietro Polito, Noberto Bobbio  sostenne che dal prof. Annibale Pastore avrebbe appreso “l’abc della fenomenologia ” e fu incoraggiato “a studiare Husserl a fondo e a dedicare ad essa la mia tesi di laurea, che mi costò un enorme sforzo intellettuale, non sempre giunto a buon fine. Ricordo giornate intere di faticosissime letture di pagine del libro famoso di Husserl, non tradotto allora, Ideen zu einer reinen Phänomenolie und phänomenoloschen Philosophie (1913). La tesi non è stata pubblicata, ma è stata il punto di partenza per il mio primo libro” (L’indirizzo fenomenologico nella filosofia sociale e giuridica), “anche per suggerimento di Antonio Banfi alle prime applicazioni del metodo fenomenologico alla filosofia sociale e giuridica”.

La prima monografia di Norberto Bobbio fu, quindi, in tutto od in parte una rielaborazione dei concetti e dei principi che aveva appreso e studiato, laureandosi, con il prof. Annibale Pastore in Filosofia teoretica. Al quale Bobbio inviò una copia del libro, ricevendo calorosi complimenti: “Caro Bobbio, ho ricevuto il suo bel volume e l’ho già visto quasi completamente. E’ bello. Le fa onore ”. Bobbio, pertanto, scrisse il suo primo libro (quello utilizzato per la libera docenza) in quattro mesi scarsi  in quanto il bando per la libera docenza prevedeva, siccome meglio vedremo infra, che gli eventuali titoli a corredo della domanda di partecipazione dovessero essere consegnati INDEROGABILMENTE entro il 31 maggio 1934. “Una volta laureato”, Bobbio potette “tornare a dedicarsi nuovamente alle ricerche per una fenomenologia del diritto e il frutto più maturo di esse sarà proprio il libro del 1934 che varrà a Bobbio la libera docenza e il primo incarico di insegnamento in Filosofia del diritto nella libera Università di Camerino ”. Ai sensi dell’art. 118 del Regio Decreto 31 agosto 1933. n. 1592 “per conseguire l’abilitazione alla libera docenza in una determinata materia il candidato” doveva: “a) possedere una laurea o un diploma ottenuti presso un Istituto d’istruzione superiore; b) fornire con titoli, integrati da una conferenza sui titoli stessi, da prove didattiche ed eventualmente da prova sperimentali, la dimostrazione del suo valore scientifico e della sua attitudine didattica rispetto alla materia che si propone d’insegnare”.

Il giovane Bobbio, il 17 maggio 1934 , “allegando i documenti richiesti” inviò alla Direzione Generale Istruzione Superiore del Ministero dell’Educazione Nazionale domandò “di essere ammesso al conseguimento dell’abilitazione alla libera docenza in Filosofia del Diritto. Il sottoscritto si” riservò “di far pervenire al Ministero e ai commissari le copie dei titoli e degli elenchi richiesti entro il termine fissato”.

Il candidato, tuttavia, poteva inviare i titoli direttamente ai commissari entro il 31 agosto 1934. I quali, nel caso di specie, furono scelti e nominati dal detto Ministero con Decreto del 21 luglio 1934  nelle persone dei proff. Eugenio Di Carlo, Antonio Falchi e Widar Cesarini Sforza .

Bobbio non potette allegare le pubblicazioni del 1934 (come al contrario attestato nella autobiografia) nel termine di legge perché esse furono pubblicate successivamente alla scadenza del termine legale fissato nel bando: sia L’indirizzo fenomenologico nella filosofia sociale e giuridica che Scienza e tecnica del diritto (entrambi editi nella collana delle Memorie dell’Istituto Giuridico della Regia Università di Torino) furono pubblicati dopo. Esse pervennero alla Biblioteca Nazionale di Firenze, in copia d’obbligo, rispettivamente il 24 settembre 1934 ed il 26 dicembre 1934. Il primo libro (la vera monografia) fu depositato presso la competente Procura del Regno di Torino il 25 agosto 1934.

La data del deposito di dette pubblicazioni nella Biblioteca Nazionale di Firenze è essenziale perché, ai sensi dell’art. 1 della Legge 26 maggio 1932 n. 654 , era espressamente proibito che le pubblicazioni scientifiche fossero poste in commercio ovvero rimesse al committente se non dopo l’obbligatorio deposito, appunto, presso la competente Procura del Re presso il Tribunale la quale a sua volte doveva consegnare alla Biblioteca Nazionale di Firenze e, per i libri inerenti le materie economiche e giuridiche altresì alla Biblioteca Centrale Giuridica.

Il Ministro di Grazia e Giustizia, prof. Pietro De Francisci, con la circolare n. 2319 del 15 maggio 1933  aveva chiarito che “la conoscenza dei dati anzidetti” (data del deposito) “non è richiesta soltanto ai fini della più esatta e rigorosa applicazione delle norme della legge 26 maggio 1932. n. 654, bensì anche da esigenze scientifiche e culturali, poiché è interesse notevole di tutti gli studiosi sapere con precisione quando una determinata opera è stata pubblicata”. La violazione di detti precetti comportava gravissime sanzioni penali.

Apparentemente l’invio di documentazione concorsuale in palese violazione di legge nonché delle regole del bando, non determinò alcuna sanzione e, devesi stimare, che nulla obiettarono i membri del Consiglio Superiore dell’Educazione Nazionale fra cui vi era il potente prof. Federico Patetta, ordinario a Torino di Storia del diritto italiano . Professore “vicino” al prof. Gioele Solari per essere entrambi membri della Reale Accademia delle Scienze di Torino e colleghi del Senatore prof. Vittorio Cian (Presidente), del senatore Luigi Einaudi. Patetta, nonostante il trasferimento presso la Facoltà di Giurisprudenza di Roma , permase membro della citata Regia Accademia . Nella Reale Accademia di Medicina (di Torino) il padre di Norberto, il prof. Luigi Bobbio era il segretario generale.

Norberto Bobbio, pertanto, nonostante l’evidente irregolarità delle regole concorsuale, il 5 marzo 1935, venne “decretato” dal Ministro dell’epoca, il sabaudo Cesare Maria De Vecchi libero docente in Filosofia del Diritto . Dopo neppure due settimane il giovane Norberto Bobbio chiese al Magnifico Rettore della Regia Università di Torino d’esercitare ivi la libera docenza . Il suo nome invero compare libero docente in Filosofia del Diritto nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università torinese .

Subito dopo aver ottenuto il decreto di libera docenza, neppure un mese dopo, il mercoledì 15 maggio 1935, il giovane Bobbio venne fermato dalla Polizia Politica in relazione alle indagini sui simpatizzanti torinesi di Giustizia e Libertà e trasportato nelle carceri torinesi “Le Nuove” per essere liberato il martedì 21 maggio 1935 .

Il filosofo, al riguardo, nella sua autobiografia, scrisse che “frequentando l’ambiente antifascista, sono stato anch’io arrestato nella retata del maggio 1935, con la quale il regime cercò di liquidare il gruppo interno di Giustizia e Libertà. Non ero stato un militante. Non ho avuto parte attiva nell’antifascismo torinese di quegli anni, come la ebbero Leone o Vittorio o Massima Mila . … Naturalmente in questura sapevano benissimo tutto di tutti: sapevano chi erano i responsabili . Infatti, io sono stato condannato alla pena più leggera, quella dell’ammonizione… sanzione amministrativa che obbligava chi ne era colpito a restare a casa dalle 21 alle 6 , ”. Il prof. Luigi Bobbio, in una missiva indirizzata a Mussolini rammentò al Duce che suo figlio “fu vittima nel Maggio 1935 e per la quale fu per qualche giorno incarcerato e, dopo severa inchiesta, risultata negativa a suo riguardo, fu rilasciato libero. Fu in quel periodo angoscioso per noi che osai rivolgermi a Voi, Duce, per mezzo di mio fratello S.E. il Generale Bobbio e ne ebbi senz’altro dall’alto senso della Vostra umanità il conforto che con tanta ansia o Vi chiedevo. Anzi io figlio non ebbe nulla a patire dalla Federazione fascista di Torino, a cui continua ad appartenere regolarmente ”.

Norberto Bobbio ed i suoi biografi  hanno sempre riferito che la frequentazione del giovane filosofo con i simpatizzanti torinesi dell’associazione sovversiva Giustizia e Libertà fosse soltanto di carattere amicale. Diversa era invece l’opinione della Polizia Politica della Questura di Torino in quanto stimava Norberto Bobbio un affiliato al movimento cospirativo Giustizia e Libertà, sia pure di secondo piano. Diversi informatori, fra cui quello avente il numero di 282 (ossia Elvira Gottardi) riportavano che Norberto Bobbio avesse contatti con il prof. Franco Antonicelli e che tali rapporti avessero “natura antifascista , ”. La biografia redatta dalla Polizia Politica della Questura di Torino recitava che “è stato accertato che il Bobbio frequentava nel 1933-1934 il noto circolo antifascista della nota Barbara Allason ove convenivano noti avversari del Regime, tra i quali il dott. Mario Levi, fuoruscito, il dott. Leone Ginzburg, il dott. Sion Segre condannati dal Tribunale Speciale per attività contraria al Regime. L’appartenenza del dott. Bobbio” alla G.L. di Torino, “oltre che dalla frequenza del circolo Allason è stata rilevata dalla assiduità con la quale frequenta esponenti del movimento stesso … il Foà Vittorio, l’Alberto Levi, il prof. Franco Antonicelli ”.

Il Capo della Polizia, nella comunicazione conclusiva dell’indagine del 6 maggio 1935 , ordinò l’arresto di diversi intellettuali torinesi, fra l’altro, perché “i più pericolosi e particolari elementi del gruppo (…Bobbio Norberto …) sono in possesso di passaporto per l’estero e possono perciò andare in Francia quando vogliono”.

Nella denunzia alla Commissione Provinciale per l’ammonizione della Questura di Torino del 10 luglio 1935 di diversi arrestati, fra cui Norberto Bobbio, v’era scritto che “in margine all’attività delittuosa degli affiliati di Torino, Cuneo, Roma, Sassari, a Torino un numero di giovani professionisti e qualche studente, ebbe a richiamare l’attenzione degli organi di polizia sui frequenti contati che mantenevano con l’avv. Vittorio Foà, affiliato al movimento “Giustizia e Libertà” sotto i falsi nomi di Emiliano e Marcello, contatti che si manifestavano con cauti convegni per istrada, nei bars, cinematografi, con lo scambio di corrispondenza, con comunicazioni telefoniche in termini convenzionali, con riunioni in casa dell’uno, ora dell’altro per motivi vari, in complesso tutta un’attività fortemente sospetta, e tale da far ritenere che anche essi appartenessero al movimento segreto di “Giustizia e Libertà” … ed anche perché tutti erano noti alla polizia per i loro sentimenti di avversione al Fascismo ”. Opinione condivisa parrebbe anche dall’antifascismo riparato all’estero .

Alla fine, come già sappiamo, Norberto Bobbio fu rapidamente scarcerato, per aver “chiarito” che i “rapporti” con gli antifascisti fossero avvenuti “per esigenze di studio ”. Il rilascio di Norberto Bobbio non piacque ai funzionari della Polizia Politica della Questura di Torino. I quali, nella comunicazione conclusiva dell’operazione (in un documento titolato “ELENCO delle persone fermate od arrestate nell’operazione di “G.L.” senza data)  venne scritto ….”6” (nome cerchiato con un interrogativo con la matita rossa) “– Bobbio Norberto di Luigi, nato a Torino il 18.10.1909, dottore in lettere arrestato il 15.5.1935 a Torino. Ed a penna rilasc. dalla Questura il 21.V: perché??”. Di certo il rilascio non avvenne per ordine né della Polizia Politica della Questura di Torino ma neppure del Ministero dell’Interno (perché altrimenti, come occorso per altri scarcerati nell’elenco) sarebbe stato scritto rilasciato per ordine del Ministero dell’Interno. Permane la domanda, pertanto, chi abbia ordinato la scarcerazione di Norberto Bobbio, un arrestato perché sospettato di antifascismo.

Il giovane Bobbio, come abbiamo detto, riuscì anche agilmente a non essere ammonito. Al riguardo, per comprendere esattamente le precise dinamiche della procedura è essenziale calcolare la cronologia degli eventi: lunedì 8 luglio 1935 Norberto Bobbio supplica Mussolini di revocargli l’ammonizione  e giovedì 25 luglio 1935  la Prefettura di Torino informa il Ministero degli Interni d’aver comunicato a Norberto Bobbio la revoca dell’ammonizione.

Appare alquanto inverosimile credere che la lettera di Norberto Bobbio diretta a Mussolini ed inviata alla di lui residenza (Villa Savoia), in soli 14 giorni (considerando il venerdì pomeriggio, il sabato e la domenica), sia stata: 1) protocollata dalla Segreteria di Mussolini; 2) assegnata a qualche funzionario; 3) relazionata in quanto tutta la corrispondenza in entrata doveva essere vagliata; 4) esibita al dittatore; 5) accettata da questi il quale 6) abbia richiesto alla Divisione Affari Riservati del Ministero degli Interni d’ordinare alla locale Questura di comunicare prontamente al mittente l’accettazione della richiesta e 7) la Questura infine prontamente informasse il mittente dell’esposto. Basta consultare il fondo archivistico della Segreteria Particolare del Duce (in Archivio Centrale dello Stato) per sincerarsi quante lettere, raccomandate, pacchi, cartoline, giornali giungessero quotidianamente all’attenzione del Duce nella sua residenza romana.

V’è un ulteriore elemento che rende l’intera vicenda ancor più eccentrica. La supplica del giovane Bobbio (richiesta revoca della proposta ammonizione) fu spedita il giorno 8 luglio 1935 e cioè due giorni prima della (formale) sua denunzia per l’ammonizione da parte della Questura di Torino al Prefetto di Torino in qualità di Presidente della Commissione Provinciale per l’ammonizione che reca, appunto, la data del 10 luglio 1935 .  Lo stesso giorno, il Prefetto di Torino, con telegramma delle ore 14:35 indirizzato al Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza: “informasi ce giusta istruzioni impartite at mezzo commissario capo p.s. Cav. Triola nella riunione di questa commissione provinciale del 12 corr. Verranno sottoposti alla ammonizione seguenti individui: … 3° Bobbio Norberto … ”. Il Prefetto di Torino, con telegramma del 12 luglio 1935 , ore 20:30 indirizzato alla Direzione Generale Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno e pervenuto alle successive 01.45, protocollato dalla Divisione affari generali e riservati, Sezione 1 Confino di Polizia della Divisione Generale di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno il giorno 18 luglio 1935 tanto è vero, comunicò quanto segue: “Locale commissione provinciale nella riunione odierna ha sottoposto ammonizione seguenti individui: primo Bobbio Norberto di Luigi …quinto Einaudi Giulio di Luigi stop si fa riserva trasmettere documenti relativi stop”. Vi è un’altra curiosa particolarità: la Divisione affari generali e riservati della Sezione 1 Confino della Direzione Generale Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno protocollò il telegramma della Prefettura di Torino comunicante l’irrogazione dell’ammonizione di diversi soggetti (fra cui di Norberto Bobbio) il n. 710 – 11646 del 18 agosto 1935 ed invece l’esposto (del 8 luglio 1935)  di Norberto Bobbio avverso la proposta ma non formalmente denunziata ammonizione il n. 710-11647 sempre del 18 luglio 1935.

La cronologia degli eventi connessi alla procedura di ammonizione di Norberto Bobbio ed i tentativi di costui di impedirne l’irrogazione comprovano quanto meno diversi aspetti

Norberto Bobbio, nella sua autobiografia, descrive quindi i suoi tre anni d’insegnamento nella Libera Università di Camerino come libero docente. “Dopo il conseguimento della libera docenza in Filosofia del Diritto, ottenni nel 1935 l’incarico nell’allora libera università di Camerino ”… Nel novembre del 1935 tenni la mia prima lezione all’Università di Camerino … La maggior parte dei colleghi, su per giù della mia età, non era fascista ”. In un’altra evenienza, Bobbio sostenne che “nelle tre università in cui ho insegnato in quegli anni, a Camerino, a Siena, a Padova, non subii pressioni di sorta ”. “Contemporaneamente studiavo per preparare il concorso di professore di ruolo. Venne indetto nel 1938, l’anno delle leggi razziali; infatti Renato Treves ne fu escluso ”.

Non vi sono elementi univoci per contraddire l’asserzione di Norberto Bobbio circa non aver patito compressioni allorché insegnava a Camerino. Certamente, vi sono fortissimi indizi che non sia vera. In primo luogo perché il Rappresentante del Governo all’Università di Camerino era l’on. Gaetano Polverelli . Ovverosia il gerarca che fu fra i fondatori del Fascio di Roma, colui che, da Capo Stampa del Capo del Governo, inventò la censura del Regime, colui che, nella notte del Gran Consiglio (24/25 luglio 1943) votò contro la celeberrima mozione Dino Grandi.  Inoltre, il Rettore di quell’Ateneo  pubblicamente, si vantava e pubblicizzava l’affettuoso e speciale legame fra l’Università di Camerino ed il Capo del Fascismo .  Il quale, ogni anno, forniva oltre il 50% dell’entrate necessarie per la sua esistenza mediante un contributo da parte del Ministero degli Affari Esteri . Infine, lo stesso filosofo, nel 1943, descrisse assai diversamente gli anni d’insegnamento a Camerino, scrivendo che “divenuto professore universitario nel 1935, ho sempre adempiuto ai miei doveri di iscritto esplicando quelle attività che di volta in volta  mi veniva affidate. A Camerino, tenni un corso commemorativo del decennale della Carta del Lavoro nel 1937, e fui commissario delegato dall’Università per gli esami del Corso di preparazione politica per i giovani presso la Federazione di Macerata ”.

Nel 1938 Norberto Bobbio vinse il concorso per straordinario di Filosofia del Diritto all’Università di Urbino. Nello specifico,  il giorno 8 febbraio 1938  il Ministero dell’Educazione Nazionale indisse un concorso a cattedre universitarie, fra cui di Filosofia del Diritto  richiesto, nello specifico, dall’Università di Camerino e di Urbino . La Facoltà di Giurisprudenza di Urbino, con verbale del 27 dicembre 1937, in particolare, richiese al Ministero dell’Educazione Nazionale l’attivazione di un concorso per professore di filosofia del diritto in quanto “vi sono vari docenti dichiarati maturi dall’ultimo concorso e che da allora nuove docenze sono state conferite e che alcuni dei nuovi docenti tengono già incarichi in diverse Università” e che, nello specifico, quella di Urbino aveva “quale incaricato il prof. Renato Treves, Libero Docente e dichiarato maturo nell’ultimo concorso ”.

A questo punto occorre chiarire che il concorso in Filosofia del Diritto di Urbino, con tutta probabilità,  era stato richiesto ed indetto per attribuire all’incaricato della materia, sin dal 1935, il libero docente prof. Renato Treves, formalmente la cattedra universitaria. Il quale era stimato, nella Facoltà di Giurisprudenza, un validissimo professore d’indubbio valore e preparazione  e che, nel 1936, era stato espressamente riconfermato nell’insegnamento, con la formale approvazione del Ministro dell’Educazionale Nazionale .

Il bando pubblico del Ministro dell’Educazione Nazionale prescriveva che “coloro che intendano partecipare ai concorsi predetti devono far pervenire a Questo Ministero (Direzione generale dell’Istruzione superiore – Ufficio concorsi universitari) domanda in carta bollata entro il 15 maggio 1938 corredata dei documenti appresso indicati” (in massima parte quelli già previsti per il concorso per la libera docenza). “Entro lo stesso termine del 15 maggio 1938, gli interessati devono far pervenire, separatamente dalle domande e dai documenti di cui sopra, le pubblicazioni allegandovi un elenco, in duplice copia, delle pubblicazioni stesse.  Sono accettati soltanto i lavori pubblicati. In nessun caso sono accettate bozze di stampa. L’ammissione potrà essere negata con provvedimento del Ministro a suo giudizio insindacabile. Non saranno ammessi al concorso coloro che faranno pervenire le domande ed i prescritti  documenti dopo il termine del 15 maggio anche se le domande ed i documenti stessi siano stati presentati in tempo utile alle autorità  locali o agli uffici postali o ferroviari; né saranno accettate dopo il detto termine pubblicazioni o parte di esse o qualsiasi altro documento”. Sin dalla sua pubblicazione del bando (per una moltitudine di cattedre universitarie) la comunità universitaria lamentò ed accusò che la data entro il quale allegare le pubblicazioni a corredo delle domande di partecipazione fosse troppo ravvicinata, neppure quattro mesi dalla promulgazione del bando stesso.

Il Ministro Giuseppe Bottai, con nota formale del 25 marzo 1938 rispose negativamente al collega del Ministero degli Affari Estero, Galeazzo Ciano alla richiesta d’una proroga del termine per l’invio delle pubblicazioni. “Tale data è stata da me stabilita in previsione di un tempestivo espletamento dei concorsi, che consenta di procedere alle nomine dei vincitori nei termini previsti dalla disposizioni vigenti in materia”. Una settimana prima, il noto prof. Remo Franceschelli aveva analogamente richiesto una proroga del termine di consegna .

Il 10 maggio 1938 il Ministro dell’Educazione Nazionale prorogò al 31 maggio 1938 il termine utile per la presentazione delle pubblicazioni da parte degli aspiranti ai concorsi a cattedre universitarie, chiarendo che comunque il termine del 15 maggio 1938 per la presentazione delle domande restava invariato. Due giorni dopo, lo stesso Ministero chiese al Ministero di Grazia e Giustizia l’immediata pubblicazione, sulla Gazzetta Ufficiale, d’un Decreto che prorogava il termine al 16 maggio anziché al 15 maggio 1938 il termine della presentazione delle domande a cattedre universitarie .

Norberto Bobbio, l’11 maggio 1938 spedì domanda di partecipazione al detto concorso allegando “gli annessi documenti ” ed in particolare, in ipotesi, copia delle 13 sue pubblicazioni di cui le 5 pubblicate nel 1938: 8) La personalità di Max Scheler; 9) Una nuova rivista di filosofia; 10) L’analogia e il diritto penale; 11)  L’analogia nella logica del diritto; 12) La persona nella sociologia contemporanea.

Come già occorso, per il concorso per la libera docenza, Norberto Bobbio non trasmise gli originali delle pubblicazioni del 1938 salvo che per due di esse e le altre in bozza poiché queste furono pubblicate dopo il termine di consegna. In particolare, le pubblicazioni: nn. 8 e 9, edite nella Rivista di Filosofia  il 19 aprile 1938 ; la n. 11, pubblicata nella collana Memorie dell’Istituto Giuridico della Regia Università di Torino il 8 luglio 1938 ; la n. 12 pubblicata negli Annali della Facoltà giuridica dell’Università di Camerino il 21 ottobre 1938 quantunque formalmente finita di stampare il 30 gennaio 1939  e la n. 10, edita nel 5 volume del 1938 della Rivista Penale che, nei registri della Biblioteca Nazionale di Roma risulta formalmente pervenuta il 19 luglio 1938 ed in quella di Firenze non prima del 30 giugno 1938.

Il prof. Gioele Solari raccomandò il suo allievo presso ogni possibile istituzione universitaria: l’Università di Torino tramite il Rettore (il prof. Silvio Pivano); il Consiglio Superiore Educazione Nazionale attraverso il prof. Pietro De Francisci intimo del citato prof. Giorgio Del Vecchio . Il Solari invero sapeva benissimo che la vittoria del concorso per il suo allievo dipendeva dal ruolo avuto, nel caso concreto, dal “vecchio prof. Giorgio Del Vecchio”. Nelle missive scambiate fra lui e Bobbio espressamente lo si afferma chiaramente . I membri della commissione esaminatrice, designati dal Ministro Bottai , furono i proff. Michele Barillari, Antonio Falchi, Giuseppe Capograssi , Felice Battaglia e Giacomo Perticone. Due dei quali (Capograssi e Battaglia) erano assai vicini al prof. Antonio Falchi per essere stati dichiarati maturi, nel concorso per la cattedra di Filosofia del Diritto di Ferrara del 1932 , proprio da lui. A loro volta, questi erano altresì molto legati al prof. Giorgio Del Vecchio col quale cooperavano alla Direzione della Rivista internazionale di Filosofia del Diritto. Probabilmente il prof. Antonio Falchi avrebbe dovuto astenersi per palese conflitto d’interessi o quanto meno, formalmente, esternarlo agli altri commissari ma i verbali della commissione esaminatrice non riportano nulla al riguardo .

Dalla corrispondenza pubblicata fra il maestro e l’allievo emerge indubitabilmente che il prof. Gioele Solari intervenne nei lavori della commissione esaminatrice. In una missiva del 1 ottobre 1938  scrisse: “ho buone notizie nei tuoi riguardi. Non dubito dell’esito. Non solo Pastore mi ha confermato il giudizio favorevole di Perticone, ma anche altri commissari ebbero a esprimermi lo stesso giudizio. Tu tienimi informato dell’epoca in cui la Commissione si raccoglie…Quasi ogni giorno mi trovo con Renato e non puoi credere quanto mi addolori la sua sorte. Ha già ricevuto la comunicazione ministeriale che è escluso dal concorso. Per poco non rimanevi escluso anche tu”. Ed invero, ben prima dell’ampiamente citato e commentato intervento del fascista Emilio De Bono presso Mussolini , il suo maestro aveva chiesto ed ottenuto che il potentissimo prof. Giovanni Gentile perorasse, sempre presso Mussolini, la revoca dell’esclusione del suo pupillo. Tra la corrispondenza del senatore Gentile vi è infatti una cartolina di Solari del 26 giugno 1938 che recita: “per ringraziarla della cordiale accoglienza, per avvertirla che il prof. Bobbio per l’intervento personale del Capo del governo fu riammesso al concorso di Filos[ofia] d[el]diritto ”.

Nella sua autobiografia, Norberto Bobbio scrisse “decisi di oppormi a un’ingiustizia che mi appariva colossale… il regime aveva cercato di escludermi dal concorso universitario, nonostante i miei titoli. Non volevano darmi la cattedra, bensì volevano togliermela. Era chiaro che la causa dell’esclusione era politica, e quindi era un sopruso … perché avrei dovuto subirlo?  “.

Norberto Bobbio in verità sarebbe dovuto essere escluso non in ragione del fermo del 15 maggio 1935 o del suo presunto antifascismo bensì, molto più banalmente, per violazione delle regole di partecipazione al concorso universitario.

Il risultato fu paradossale, l’Università di Urbino che aveva richiesto al Ministero dell’Educazione Nazionale un concorso per assegnare la cattedra di filosofia del diritto ad un professore straordinario dovette assegnare l’insegnamento ad un interno, il notissimo prof. Aldo Sandulli, professore incaricato di diritto amministrativo dal 1937. Norberto Bobbio, invero, vinto il concorso per Urbino scelse, l’anno stesso della proclamazione di vincitore della cattedra di filosofia del diritto di Urbino, di trasferirsi invece a Siena . Nella quale Università, “in seguito al trasferimento del prof. Felice Battaglia” (proprio il commissario del suo concorso universitario) “all’Università di Bologna” era rimasto “vacante in quell’Università la Cattedra di Filosofia del Diritto. In conseguenza, la Facoltà di Giurisprudenza ha proposto che la Cattedra stessa sia coperta con la nomina del Prof. Norberto Bobbio, vincitore del recente Concorso all’Università di Urbino. Prego codesto Ministero di voler accogliere favorevolmente la suddetta proposta, che risponde alle necessità dell’insegnamento nella Facoltà Giuridica ”. Il Ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai (quello stesso che neppure sei mesi prima lo aveva escluso dal concorso di Urbino ), “vista la relazione della Commissione esaminatrice del Concorso alla cattedra di filosofia del diritto nell’Università di Urbino; visto il D.M. 8 novembre 1938 con il quale sono stati approvati gli atti del concorso anzidetto Decreta il Prof. Norberto Bobbio … Professore Straordinario di Filosofia del Diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza della Regia Università di Siena ”.

Le vicende del rampollo Bobbio, ivi descritte, purtroppo non rappresentarono affatto un caso isolato. Dallo studio sugli intellettuali e professionisti coinvolti nella retata del 15 maggio 1935, ripetesi tutti appartenenti alle classi agiate di Torino e provincie connesse, emerge che, realmente nessuno o quasi dovette subire conseguenze definitive dall’essere stato fermato, diffidato, ammonito o confinato per motivi politici. Ognuno di essi, all’infuori di coloro (davvero pochi) che scientemente non vollero “pentirsi” per ottenere “la grazia sovrana”, nel giro di pochissimo tempo, al limite uno o due anni, vissero come nulla fosse successo. Salvo dopo il crollo del Regime, coll’avvento della democrazia repubblicana, riinventarsi  o riscoprirsi antifascisti.

Il genero del ricchissimo e potentissimo notaro Annibale Germano, il prof. Franco Antonicelli , confinato dal 1935 al 1936, intimo di Norberto Bobbio, Massimo Mila, Giulio Einaudi, Cesare Pavese e Vittorio Foa e tanti altri, avendo manifestato sincero ravvedimento” e collaboratore con alcune riviste delle Federazioni  del PNF piemontese nel 1940 ottenne di essere radiato dal novero dei sovversivi. Il Prefetto di Torino ne chiese, per questa ragione, la radiazione dall’elenco dei sovversivi (alla Direzione Generale della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno) perché schivava “la compagnia di elementi sospetti ”. Nel 1968 Franco Antonicelli venne eletto al Senato, per due legislature, come indipendente nella lista del PCI-PSIUP.

Un altro dei confinati, implicato non solo nell’indagine e nella retata del 15 maggio 1935 ma anche quella dell’anno precedente, il medico. e pittore Carlo Levi, durante il suo confino ottenne che le sue opere fossero esposte alla VIII esposizione del sindacato interprovinciale fascista Belle Arti che si svolse a Torino dal 25 aprile 1936 . L’organizzazione della rappresentazione aveva chiarito che potessero “prendere parte solo gli artisti appartenenti alla giurisdizione del Sindacato ed i Soci della società promotrice che siano in regola con il pagamento delle quote e dei contributi sindacali obbligatori ”. Anche Carlo Levi, nel 1963, venne eletto al Senato per due legislature.

Infine, per porre un ulteriore campione, si consideri il caso di Giulio Einaudi, il figlio del Senatore Luigi Einaudi. Nella citata relazione del Capo della Polizia del 6 maggio 1935  ordinante il fermo e l’arresto di diversi intellettuali piemontesi, espressamente fu scritto: “le perquisizioni ed i fermi devono essere estesi alla Casa editrice Einaudi, ai dirigenti e collaboratori più stretti della Rivista Cultura. E’ ormai pacifico che codesti signori agiscono in strettissima intesa e in armonica collaborazione con G.L.”. E’ circostanza oramai notoria che la Divisione Polizia Politica della Direzione Generale della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno  utilizzò le dichiarazioni rese, in sede di interrogatorio, dal Giulio Einaudi per assegnare a confino diversi collaboratori della sua casa editrice . Il rampollo Einaudi, nondimeno, ottenuta quasi subito la revoca dell’ammonizione, potette, l’anno stesso dell’arresto, continuare tranquillamente la sua attività professionale di editore.

Potrebbe non essere una coincidenza se, nel giudizio di epurazione, avanti la Commissione Regionale e Provinciale di Epurazione, presieduta dal prof. Michele Giua (deputato all’Assemblea Costituente e quindi senatore per il PSI dal 1948 al 1958), anch’esso arrestato nella retata del 15 maggio 1935, il commissario aggiunto della Polizia Politica della Questura di Torino, l’ideatore e la mente della retata, il cav. Giuseppe Lutri, nel frattempo divenuto Commissario Capo di PS chiamò e portò come testimoni a sua discolpa, moltissimi dei fermati dell’emarginata operazione di polizia giudiziaria : fra gli altri, il successivamente divenuto banchiere Dante Coda Cap, Franco Antonicelli, il Prefetto repubblicano di Torino Pier Luigi Passoni (coinvolto nella retata del 1935), l’antifascista prof. Luigi Salvatorelli (coinvolto nella retata del 1935 ed intimo già di Piero Gobetti), Massimo Mila (coinvolto nella retata del 1935), la prof. Clara Lollini in Giua (coinvolta nella retata del 1935 e moglie di Michele Giua) e molti altri. Il dott. Lutri, graziato dal CNL del Piemonte potette, a sua volta, proseguire nella sua carriera nell’Amministrazione del Ministero dell’Interno. Nel 1960 fu nominato Questore a Genova, nell’anno cioè della sommossa popolare e terminò la sua carriera prima come Direttore della famigerata Divisione Affari Riservati e quindi Vice Capo della Polizia di Stato.

 

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