Mostri: la dimensione dell’oltre

di Emanuele Bardazzi 

L’esposizione cremasca Mostri. La dimensione dell’oltre curata da Silvia Scaravaggi esplora le molteplici sfaccettature del “mostro” attraverso una preziosa selezione di opere grafiche di artisti italiani e stranieri che attraversano un periodo di circa 150 anni, dalla seconda metà dell’800 ai nostri giorni.

L’incisione, come ebbe a dire Charles Baudelaire a proposito dell’acquaforte che intorno al 1860 visse un periodo di intenso revival, era il mezzo espressivo privilegiato dagli artisti per esprimere la loro personalità più nascosta. «L’eau-forte est à la mode», scriveva il poeta nella “Revue Anecdotique” del 1862, avvertendo precocemente in questo vivacissimo risveglio, il ruolo fondamentale che avrebbero avuto i “peintres-graveurs”, dalla scuola di Barbizon ai simbolisti della fine del XIX secolo, nel rinnovamento dell’estetica di quest’arte secolare, facendone un mezzo intimo e personale, tra l’altro il più idoneo a sposarsi con la letteratura d’avanguardia, da quella tardo-romantica e parnassiana, a quella simbolista e decadente.

Una trentina di anni dopo, nel 1891, Max Klinger rinnovava nel trattato Malerei und Zeichnung le lodi alla grafica (Griffelkunst) in virtù della sua capacità di esprimere l’interiorità segreta degli artisti e della sua particolare idoneità ad addentrarsi nei territori inesplorati e insoliti del fantastico, del meraviglioso, perfino dell’orrido, meno adatti alla pittura, tradizionalmente legata ai temi più convenzionali e all’uso mimetico del colore.

Non è quindi casuale che anche l’odierna rassegna dedicata al tema del “mostro”, che esplora le sfaccettature inquietanti dell’alterità e del difforme rispetto alla figurazione normativa e rassicurante, sia una raccolta di opere grafiche, nello specifico incisioni, disegni e illustrazioni di libri.

È ancora Baudelaire con i suoi Fleurs du Mal ad aprire con il suo “amour du difforme” la strada a una trasgessione dell’immagine che prenderà corpo soprattutto a partire dal Decadentismo e dal Simbolismo fin-de-siècle, il periodo artistico e letterario che più di tutti si rivolge all’esplorazione dell’ignoto e dell’inconscio con tutte le sue angosce e paure, ma anche alle estasi sublimi del sogno di cui comunque non rinnega gli incubi, anzi li cavalca ed elabora attraverso un processo artistico sofisticato e prezioso.

Nel 1950 Vladimir Jankélévitch affermava nell’articolo La décadence che «La décadence est une fabrication de monstres, une tératogonie». Il termine tératogonie, ribalta in senso zoomorfico e fitomorfico quello antropologico della teogonia, opponendo alla genesi del Creatore la creatività dell’autore/artista che, attraverso la sua sfida individualistica e libertaria, rompe l’armonia trasgredendo le norme e le categorie. La relazione tra hybride e hybris non è solo etimologica, ma assume il significato di ribellione, orgoglio, insolenza, eccesso e oltraggio da parte dei decadenti nei confronti della Creazione divina, avvertita falsamente perfetta e inadeguata a dare risposte al male di vivere moderno. Il Decadentismo e il Simbolismo amavano infatti rivelare l’anima spleenètica e maudit della Belle Époque con le sue torbide correnti sotterranee. Parigi era una metropoli bifronte e anti-naturale, emblema della lussuria e della corruzione umana, ove lo snobismo mondano e il dandysme placavano invano le loro nevrosi nei paradisi artificiali dell’arte, delle droghe e dello spleen divenuto sintomo di una insoddisfazione irrevocabile. Il sentimento sensual-demoniaco diventava una sorta di catarsi mistica e trascendentale da cui farsi rapire dimenticando le contingenze e i calcoli della vita quotidiana ordinaria.

Nella mostra l’oscura bellezza del mostruoso e dell’ibrido prende avvio attraverso le inquietanti incisioni di Félicien Rops servite per illustrare le opere di Joséphin Péladan. Il futuro ideatore dei Salons de la Rose+Croix, oltre ad assumere il ruolo di coscienza critica del declino socio-culturale della civiltà latina, era un occultista, un moralista, un esteta. In contrasto con l’arte accademicamente accettata della sua epoca, Péladan contrapponeva ai generi prosaici e desueti di quella che definiva l’Art ochlocratique destinata alla folla, lo spirito e la bellezza delle allegorie e dell’arte sublimata. Tuttavia nelle sue esposizioni intenzionalmente moralizzatrici le opere presentate dagli artisti rispondevano al contempo ai canoni dell’erotismo turbato e demoniaco, con le sue sfingi, gorgoni e chimere. Ne è un significativo esempio Le Monstre di Marcel-Lenoir, che rappresenta una delle icone più rappresentative della femme fatale, vista come idolo di perversità. Al tema della femminilità dominatrice e distruttrice dedicò molte opere Georges de Feure, presente nella mostra odierna con la litografia L’Amour libre, nella quale una prostituta cavalca un cavallo infernale. Oltre a Marcel-Lenoir e a de Feure, molti sono gli artisti francesi esposti legati al coté simbolista e alle sue propaggini nell’Art Nouveau, come Eugène Grasset, Louis Legrand, Marcel Roux, Maurice Boutet de Monvel, Henri Héran e Almèry Lobel-Riche.

Importante è anche il nucleo degli artisti mitteleuropei, legati anch’essi al Simbolismo e alla declinazione “panica” che fu lo Jugendstil monacense. Ispirati dal faro ideale di Arnold Böcklin, artisti come Otto Greiner e Franz von Stuck raffigurano fauni e centauri che, insieme ai tritoni, alle nereidi e alle sirene, divengono gli emblemi mitologici di una liberatoria euforia dionisiaca a cui la giovane generazione del tempo aspirava e che voleva rivivere nel presente, abbattendo le convenzioni sociali del pudibondo mondo borghese in nome della riforma della vita, invocando il ritorno al naturismo, alla nudità esibita senza prudérie e alla sessualità liberata.

Al sentimento panico tedesco fa da contrappunto l’estetismo degli artisti inglesi che sfidavano i valori tradizionali della società vittoriana, dagli ultimi rappresentanti dell’Aesthetic Movement, come Charles Ricketts, Thomas Sturge Moore e Laurence Housman, al genio innovatore di Aubrey Beardsley che troncava le radici con il tardo Preraffeallismo in nome dell’estetica grottesca che gli permise di liberare la sua arte dalle convenzioni morali e artistiche, raggiungendo un nuovo e più concentrato grado di raffigurazione della realtà, in un mondo post-darwiniano complesso, inquietante, scioccante e caotico, e il cui significato rimaneva profondamente indeterminato e fluido. Favorendo l’eccentrico, l’orribile, il mostruoso, Beardsley fece spazio all’evoluzione dell’arte e delle sue rappresentazioni. Infatti, i mostri, quegli esseri ai margini della normalità, hanno sempre rappresentato una sfida ai confini del pensiero convenzionale, ai limiti dell’ordine, agli estremi della trasgressione che, partendo proprio da Beardsley, un artista come Austin Osman Spare condurrà alle estreme conseguenze.

Tra gli artisti fiamminghi presenti in mostra ricordiamo James Ensor con una acquaforte macabra e al contempo satirica del 1895, Squelettes voulant se chaffeur, appartenuta al grande critico e collezionista Vittorio Pica, il primo divulgatore in Italia dell’incisore belga.

Vari sono anche gli artisti italiani rappresentati nel loro affrontare tematiche conturbanti e misteriose, dal mago del Bianco e Nero Alberto Martini con la litografia Lacrime d’amore all’esoterico Raoul Dal Molin Ferenzona con due rare incisioni di sapore ropsiano, dagli xilografi Francesco Nonni, Antonello Moroni e Ferruccio Pasqui alle prese con i mostri mitologici e biblici a Giulio Aristide Sartorio e Guido Balsamo Stella che firma con lo pseudonimo Sigurd Mateo Laila un’inedita ed enigmatica acquaforte.

Tra i libri sono esposti Tales of Mystery and Imagination di Edgar Allan Poe e il Faust di Goethe, entrambi illustrati dal dublinese Harry Clarke, Il castello del sogno di Annibale Butti illustrato da Alberto Martini, Manhood di Ralph Nicholas Chubb e Goblin Market di Christina Rossetti con le illustrazioni di Arthur Rackham, fino a Der Golem di Gustav Meyrink illustrato da Hugo Steiner-Prag che evoca il fascino spettrale della Praga magica di inizio Novecento.

La mostra tuttavia non si arresta a questa ricca e conturbante documentazione sul periodo irripetibile della grafica tra ‘800 e ‘900, ma arriva  fino ai giorni nostri passando attraverso la favolistica moderna, paurosa e insieme attraente, di Maurice Sendak. Accanto a lui, Post-it Monster di John Kenn Mortensen e L’Ospite Equivoco (The Doubtful Guest) di Edward Gorey, i disegni dell’illustratrice Nicoletta Ceccoli che racconta l’oggi attraverso le rappresentazioni di personaggi delle fiabe o del mito, con i corrispettivi mostri, fino al segno di Matteo Giuntini dove si sovrappongono strati di significati e colore e infine a Jacopo Pannocchia con il suo cupo immaginario fatto di ibridazioni tra esseri viventi. Chiudono il cerchio alcuni camei di Agostino Arrivabene, Edoardo Fontana e Francesco Parisi, artisti con personalità diverse, ma accomunati da ricerche figurative che attualizzano nel presente le loro radici ideali e la loro affinità elettiva con l’immaginario aureo del Simbolismo storico.

Il catalogo della mostra è pubblicato dal Museo Civico di Crema con testi di Emanuele Bardazzi, Edoardo Fontana e Silvia Scaravaggi.

Link http://www.museocrema.it/#s=pano37

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