Michail Gorbačev: un uomo mite amato dall’occidente

di Alessio Bellè

Michail Sergeevic Gorbacev è stata una delle figure più tragiche della storia contemporanea. Tra il 1985 (anno in cui fu nominato Segretario generale del PCUS) e il 1991, egli, ha cercato di riformare l’irriformabile, ovverosia l’Unione Sovietica. Partito con l’idea che ormai l’URSS fosse in una parabola che volgeva verso la sua fine dopo i diciassette anni – definiti da alcuni studiosi “disastrosi” –  di Leonid Breznev, l’ultimo leader sovietico ha cercato in maniera, peraltro, ambigua e contraddittoria di aprire alcuni spazi di libero dibattito e di confidare in un Occidente che secondo lui avrebbe compreso e supportato in tutti i modi il suo tentativo. Dall’altra parte della barricata, però, esisteva ancora l’apparato del Partito Comunista che si oppose ai dettami della Perestrojka e della Glasnost’, perché – con molta probabilità – avevano letto le pagine di De Tocqueville e sapevano che tentare di ristrutturare un regime in punto di morte è semplicemente un modo per accelerarne la fine. Gorbacev, invece, fu ostinato e per rendere pratica questa sua illusione aveva proceduto per gradi: in primo luogo aveva cercato di costruire un’immagine, dapprima contestata  poi largamente accettata dai paesi occidentali, soprattutto in Europa, di autentico riformatore, di un uomo con cui «si possono fare affari» sulla base di una reciproca fiducia, tanto che era riuscito a trovare in Ronald Reagan, un autentico anti-comunista, un partner più o meno affidabile. L’incantesimo più grande che Gorbacev riuscì a fare fu quello di conquistare l’opinione pubblica europea, specialmente quella tedesca, che vedeva nel riformatore sovietico colui che aveva aperto la strada verso la pacificazione, la fine della Guerra Fredda e magari anche l’unificazione della Germania (avvenuta dopo il crollo del Muro di Berlino nel novembre 1989). D’altro canto , in Russia questi non fu mai molto apprezzato, infatti, aldilà del cordoglio e del lutto pubblico – giusto ed inevitabile – la sua fama è sempre stata ai minimi termini perché viene considerato colui che ha distrutto l’Unione Sovietica, producendo quella che Vladimir Putin definisce «la grande catastrofe geopolitica di questo secolo». 

Gorbacev immaginava che il primo passo verso un’emancipazione dell’URSS da un fardello imperiale insostenibile fosse, appunto, quello di liberarsi da una sorta di “zavorra”, ovverosia l’impero europeo costruito da Josif Stalin dopo la Seconda Guerra Mondiale. Passo dopo passo, prima la rivolta della Germania orientale (tutt’altro che sedata dai sovietici, anzi, in qualche modo venne accelerata dallo stesso leader sovietico) e la sua unificazione nel giro di circa undici mesi, poi la disintegrazione – pezzo dopo pezzo – del Patto di Varsavia, che hanno cambiato – direi completamente – l’impronta europea. 

Contrariamente a quello che molti pensavano (e che lo stesso Gorbacev sperava) non ci fu l’inaugurazione di un’era di stabilità e di pace per una nuova Europa unita e affratellata (come le varie guerre alle quali abbiamo assistito e tutt’ora assistiamo lo dimostrano) ma qualcosa di diverso , cioè l’apertura di una fase di incertezza, di instabilità e di divisione.

Gorbacev, negli ultimi tempi, aveva sottolineato in alcune delle sue dichiarazioni il suo lato patriottico, anche per quanto concerne l’operazione speciale in Ucraina,  cercando di ricucire quel legame ormai perduto con l’opinione pubblica che tanto lo ha fatto soffrire.

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