Mario Carotenuto, da caratterista a “primo attore”: il recordman del cinema italiano

di Domenico Palattella
- Introduzione
Sempre presente nei film che hanno fatto grande la commedia all’italiana, Mario Carotenuto è presenza fissa di quasi tutte le pellicole italiane dalla metà degli anni ’50 fino a tutti gli anni ’70. E’ inoltre collezionista di “facce italiche” come pochi altri, è presenza comica ma con molte venature ironiche, amare. Interpreta spesso il ruolo di cavaliere estroverso sempre pronto al corteggiamento di belle signore e in cerca di avventure extraconiugali, oppure l’imbroglione che vuole gabbare, ma che finisce sempre gabbato. Insomma Mario Carotenuto, con una serie di caratterizzazioni perfette si è guadagnato, ben presto, già dalla fine degli anni ’50, la promozione sul campo, a protagonista di numerosi e divertenti film, diventando una presenza inamovibile nel cinema popolare degli anni ’60, con pellicole che arrivano a toccare vette altissime in termini di incassi. Tra le sue interpretazioni più riuscite non si può dimenticare il ruolo di don Matteo (fratello di Vittorio de Sica) in “Pane, amore e…”, oppure quelle dei film “Colpo gobbo all’italiana” e “Gli eroi del doppio gioco”, agli inizi degli anni ’60, che offrono magistralmente la misura dell’identificazione dell’attore con una tipologia italiana di personaggi tipici della migliore commedia all’italiana. O ancora la splendente stagione del film turistico balneare, con titoli di grande successo come “Ferragosto in bikini”, “Caccia al marito” o “Scandali al mare”. Ma Mario Carotenuto è stato anche il record-man assoluto del cinema italiano in termini di film interpretati: più di 160 in 46 anni di attività, dal 1949 di “Marakatumba…ma non è una rumba!, al 1995 del “Romanzo di un giovane povero”. Tanti da caratterista, ma anche tanti da protagonista, Mario Carotenuto ha attraversato tutte le stagioni del cinema italiano: quella del neorealismo rosa degli anni ’50, quella della commedia all’italiana, quella dei musicarelli, quella dei film d’autore, fino a quella della commedia sexy a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80. Insomma, mai nessuno come Mario Carotenuto nella storia del cinema italiano. Addirittura numeri da guinness dei primati nel sessennio 1958-1963: 62 pellicole interpretate, quasi tutte come attrattiva principale della pellicola. Da capogiro! Per tutto questo e per quello che ha saputo rappresentare l’attore romano ha il suo posto indelebile nell’Olimpo dei grandi del nostro cinema.
- Il ruolo del caratterista
Mario Carotenuto nasce caratterista e sul campo, oseremmo dire “a fuor di popolo”, ottiene la promozione a “primo attore”, soprattutto nell’epoca della commedia all’italiana, quando rivestì un ruolo di primissimo piano nella fascia più popolare e brillante di tale genere. Ma il ruolo del caratterista non è affatto dispregiativo, tutt’altro, fermo restando che Mario Carotenuto è senza dubbio il più grande degli attori rientranti in questa particolare categoria. Ma cosa vuol dire il termine “caratterista”? Anche se molte volte, erroneamente, relegati ai margini della storiografia e della pubblicistica cinematografica, i caratteristi costituiscono da sempre la spina dorsale della nostra numerosissima produzione filmica. Spalle di comici o interpreti di secondo piano, talvolta anonimi nell’immaginario collettivo, hanno saputo colorare con poche pennellate personaggi memorabili entrati nella storia del cinema e col tempo diventati addirittura emblematici di condizioni sociali e comportamentali: attori di serie A,quindi, anzi, come definito dal grande regista Steno, “di superserie A”, riusciti a scrollarsi di dosso l’etichetta “di serie B”. Il cinema italiano deve moltissimo a questa categoria di artisti, senza i quali molti film mitici della nostra commedia sarebbero sicuramente meno interessanti e meno capolavori di quel che sono. Cosa sarebbero i “Pane, amore e…” senza Tina Pica? E cosa sarebbero “I Soliti ignoti” senza Tiberio Murgia o Carlo Pisacane? E “La banda degli onesti” senza Giacomo Furia? Quante commedie perderebbero sapore, colore e vitalità senza la presenza di Mario e Memmo Carotenuto, Carlo Campanini, Leopoldo Trieste, Bombolo, Mario Castellani, Gigi Ballista, Gianni Agus, Carlo Croccolo, Marco Messeri, Riccardo Billi, Luigi Pavese, Tina Pica, Aroldo Tieri e altri ancora…Insomma, il grande cinema italiano è grande anche perchè a recitare in quei film ci sono dei grandissimi attori usati in piccoli ruoli. Spesso è capitato, che la loro bravura sopraffina li ha fatti assurgere al ruolo di protagonisti, proprio per l’elevato gradimento del pubblico del cinematografo. E’ questo il caso di Mario Carotenuto, splendido interprete di tanti personaggi, talmente significativi nell’immaginario comune della commedia all’italiana, da non essere considerato un caratterista pura, ma piuttosto un attore a tutto campo. E che attore!
- Il collezionista di “facce italiche”
Mario Carotenuto è il romano de Roma (magari antico, come nel Satyricon di Gian Luigi Polidoro); il romano borghese (al contrario di suo fratello Memmo, che ne incarnava piuttosto la versione proletaria), maneggione, piacione, acchiappasottane, sempre inappuntabilmente vestito in giacca e cravatta: perfetto per il campionario cinematografico dell’Italia del boom economico accanto a divi come Sordi o Gassman. In questo senso Mario Carotenuto, risulta assolutamente strepitoso nel condensare su di sé tutta la millantata fama di sciupafemmine tipica del maschio italico di mezza età. In quasi tutti i film a cavallo degli anni ’50 e ’60, l’attore romano impersona la medesima tipologia del commendatore o ingegnere in cerca di avventure extraconiugali: uno stereotipo che Carotenuto impersona con gustosa aderenza e spiritosa ironia. I due cortometraggi, dal titolo di “La dirittura morale”, del film “La donna degli altri è sempre più bella”; e “Le gioie della vita”, del film “Siamo tutti pomicioni”, sono piccoli gioielli dell’arte seduttoria del maschio italico, gallismo, millantata ricchezza, apparenza, avventure extraconiugali. Lui però lascia il segno, ed è credibile con qualunque tipologia di personaggio “italico”. Esemplare quando impersona la tipologia dell’imbroglione, del lestofante, che finisce sempre gabbato, come in “Totò, Eva e il pennello proibito”, “Fontana di Trevi” o in altre caratterizzazioni simili. I suoi due migliori film rimangono però “Gli eroi del doppio gioco” e “Colpo gobbo all’italiana”, le sue prove più compiute, personaggi “a tutto tondo”, che fuoriescono dalla farsa, per entrare in quella tipologia italiana di uomini comuni tipica della migliore commedia nostrana. Il primo film è ambientato negli attimi immediatamente precedenti alla Liberazione, durante la seconda guerra mondiale; il secondo si inserisce in piena commedia all’italiana, risultando uno dei migliori risultati di tale genere.
- Il recordman della commedia all’italiana (1956-1963): i migliori film di Mario Carotenuto
Settantuno film soltanto tra il 1956 e il 1963, nessuno come Mario Carotenuto. E proprio nel periodo di maggiore splendore della nascente commedia all’italiana. Mario Carotenuto è proprio tra i protagonisti del film simbolo di quegli anni, ovvero “Poveri ma belli”, campione di incassi della stagione 1956. Pellicola giovanilmente scanzonata, leggera, semplice, rimasta nella memoria collettiva. Mario Carotenuto interpreta qui lo zio di Maurizio Arena, proprietario di un negozio di elettrodomestici, ma che non rinuncia ( ovviamente ) a piccole avventure galanti. In questi sette anni si sprecano le caratterizzazioni memorabili e di grande divertimento, dallo scapestrato marito di Pupella Maggio del film “Mogli pericolose”, diretto da Luigi Comencini; all’avvocato che per una scommessa deve correre una fantomatica maratona per le vie di Roma, pena una sfilata in costume da fascista, nel film “La cento chilometri”; oppure il mago pasticcione e imbroglione detto il “mago della Fontana” del film “Fontana di Trevi”, con l’imbranato aiutante interpretato da Carlo Croccolo. Se nelle prime due pellicole citate si evincono delle piccole ma convincenti notazioni sociologiche, ad esempio sul fascino nascente della televisione; il terzo film, rientrante nel genere turistico, a colori con uno sgargiante Technicolor, scherza deliziosamente sulle italiche doti del gallismo. E pazienza se il protagonista è un inespressivo Claudio Villa, perché è quando è in scena Mario Carotenuto, straripante come sempre, che la pellicola acquista la sua ragion d’essere. Il ruolo di co-protagonista, ovvero quello del mago della fontana è molto divertente, e testimonia come Carotenuto eccelli nelle parti che rappresentano la borghesia romana che vuole emergere. Quello di “Fontana di Trevi” è comunque un gradevole microcosmo, semplice, divertente, anche all’acqua di rose, ma sostanzialmente abbastanza efficace. In questo senso, uno dei migliori film del genere, sia pure praticamente sconosciuto, risulta essere “Genitori in blue-jeans, una sorta di mini-Dolce Vita ( il capolavoro di Fellini uscì pochi giorni dopo, ma se ne parlava ormai da mesi ): una Dolce Vita, certo, come poteva concepirla un Mastrocinque ( il regista ), superficiale, ridanciana, molto più vicina alla farsa che all’affresco sociale. Eppure lascia il segno, perché il film è davvero divertente e perché nel cast ci sono attori di estrema bravura come Peppino De Filippo, Ugo Tognazzi e Mario Carotenuto. Certo è più buffo che significativo, però è divertente vedere questi genitori in blue-jeans che vorrebbero fare i giovani proprio come i giovani ma non ne hanno ovviamente la tempra,l’inconsapevolezza, la spontaneità. Peppino quì interpreta un ricco sarto e Mario Carotenuto è il suo amico Mario. Insieme si recano a Parigi in cerca di avventure. Proprio qui avviene la scena più memorabile del film, destinata a rimanere nella memoria collettiva, quella dei due presunti o millantati “latin lovers”, che ingaggiano due modelle per una sfilata di biancheria intima. Inutile dire che il profilo professionale delle indossatrici è l’ultima cosa che interessa ai due. Ma le ragazze alle soglie degli anni ’60, si sono fatte furbe: accettano di indossare la biancheria intima e poi svaniscono, e con loro i progetti parigini dei due seduttori. Insomma “Genitori in blue-jeans” è una sorta di Dolce Vita piccolo-borghese, che tra tanti difetti, si lascia apprezzare e rappresenta a modo suo un piccolo spaccato dell’italiano medio del boom economico. Il 1960 è l’anno in cui si pensa di lanciare, finalmente, i due fratelli Mario e Memmo, come coppia cinematografica. “Mariti in pericolo” e “I piaceri dello scapolo” sono gioiellini di comicità mai volgare e di scavo psicologico nell’immaginario provinciale, con equivoci e divagazioni divertenti intorno al mito del gallismo italico. Intorno a loro ruotano attrici come Sylva Koscina, Franca Valeri, Pupella Maggio, perfettamente in grado di reggere la nuova coppia comica. Non ci saranno altre occasioni di rivedere i due fratelli insieme in un lavoro cinematografico, ma le due pellicole ottennero un grande successo di pubblico, anche grazie alla freschezza comico-parodistica di due storie, che scherzano sui simboli dell’Italia del boom, prima fra tutti la garconnière in “multiproprietà”. Arriva il 1961 e Mario Carotenuto è in sala con ben 11 film, praticamente uno al mese, e tra tanti film del filone balneare e commedie all’italiana a tutti gli effetti, si distingue un film in costume, che ha avuto un notevole riscontro al botteghino, e una volta tanto anche critico. “Maciste contro Ercole nella valle dei guai” di Mario Mattoli, con protagonisti Mario Carotenuto e Raimondo Vianello, nei panni di Mario e Raimondo, dirigenti di una piccola compagnia teatrale, che tentano di far fortuna usando una macchina del tempo, sbagliando però data e finendo così 7 000 anni addietro, trovandosi invischiati nelle lotte eteree, tra Maciste, Ercole, financo la maga Circe ( una splendida Bice Valori). E la critica, strano ma vero, ebbe pareri favorevoli per il film: “Marchesi e Metz scrivono per Mattoli una parodia dei “peplum” di Cinecittà utilizzando l’espediente del viaggio nel tempo e confidando sulla simpatia e sul talento del duo di protagonisti, Carotenuto-Vianello”. E’ però il 1962 l’anno memorabilis di Mario Carotenuto, ormai divenuto “icona” del pubblico italiano. Certo, oggi il termine “icona” è inflazionato e non lo si nega a nessuno. Lui, però, se lo merita più di tanti altri perché la sua faccia con gli occhialoni dalla montatura spessa, la sua corpulenza, la sua gestualità transitano inalterate di film in film, ma risultando sempre appropriate e in tono col resto. Così, quelli che sono stati definiti i migliori lavori della sua carriera, verranno proprio girati nel 1962, così foriero di soddisfazioni lavorative. A maggio esce nelle sale “Gli eroi del doppio gioco”, esempio importante della capacità del cinema italiano di affrontare certi temi scabrosi in termini popolari. “Gli eroi del doppio gioco” rientra in quella serie di film, tipici dell’inizio anni ’60, che riprendono e rievocano vividamente il caos avvenuto nel paese negli attimi finali della seconda guerra mondiale: la caduta del fascismo, l’irresponsabile proclamazione dell’armistizio l’8 settembre 1943, l’attesa dell’arrivo degli Alleati, la gioia della Liberazione. In questo genere di film, “Gli eroi del doppiogioco” è senza dubbio una delle pellicole più compiute e più riuscite. E’ la storia di un podestà ( M.Carotenuto ) di un piccolo paesino dell’Appennino tosco-emiliano, che insieme ai due figli ( A.Tieri e C.Croccolo ) si adattano come possono ai mutamenti storico-politici. Intanto il terzo figlio, reduce dal fronte russo, va in montagna con i partigiani. Al di là della valenza storica del film e dell’indubbio talento dei tre protagonisti ( M.Carotenuto, A.Tieri, C.Croccolo ), funziona anche la parodia sull’incoerenza politica degli italiani: allora come oggi è tutto uguale. Film misconosciuto, ma ampiamente da rivalutare. A lavoro terminato, con praticamente lo stesso cast, Aroldo Tieri, Gabriele Antonini, e con l’aggiunta di vecchie glorie come Marisa Merlini e Andrea Checchi, a Mario gli venne in mente una storia diversa, per certi versi assurda, sulla falsariga di quella dei “Soliti ignoti”, però al contrario: ovvero sia la storia di un gruppo di ladri, che devono riportare una refurtiva in banca, per salvare la reputazione e l’onore di un metronotte, loro amico fraterno. L’idea è senza dubbio geniale, originale, quasi surreale, con Mario Carotenuto che firma anche il soggetto e la sceneggiatura. Così, “Colpo gobbo all’italiana”, si issa come una delle più belle commedie all’italiana del nostro cinema e rientra tra quelle pellicole oggi meritevoli di un’ampia rivalutazione, ma sostanzialmente poco conosciute. Erano anni in cui la commedia all’italiana entra nel vivo, il boom economico è ormai compiuto e l’Italia vive un momento di grande benessere sociale. In questo luminoso contesto storico, l’attore romano vive il suo momento di massimo splendore, tutto ciò che tocca è oro, e fioccano per lui le parti nella nascente commedia all’italiana. “Colpo gobbo all’italiana” mischia un pò di tutto: è un giallo, è una commedia brillante, è un action movie stile “Soliti ignoti”, è una commedia amarognola. C’è un pò di azione, di comicità, di romanticismo, di surrealismo. Insomma non manca proprio nulla, compresa l’estrema originalità della storia. Essa racconta del metronotte Orazio (A.Checchi ) che è un amico di tutti nel quartiere in cui svolge il proprio lavoro. Quando viene fatto un furto in una banca, il che accade proprio sotto la sua giurisdizione territoriale,Orazio per non cadere in disgrazie,si rivolge,per recuperare il maltolto, proprio ad alcuni lestofanti di bassa leva i quali,a loro volta,chiedono l’aiuto di un “professionista” di grande fama nel quartiere, ovvero Nando Paciocchi, un carismatico e frizzante Mario Carotenuto. E’ lui la vera forza della pellicola, qui anche autore del soggetto e co-sceneggiatore. La sua capacità, più unica che rara di rendere credibile qualsiasi personaggio, soprattutto quando si tratta di un borgataro romano, è la chiave del suo successo. Ma la pellicola, furba e schietta, funziona anche perché ruota tutta su un efficace gioco di squadra, da parte di un’affiatata schiera di caratteristi e attori di eccelso livello: da macchietta Aroldo Tieri nei panni di Titillo, scassinatore che tratta le casseforti come fossero belle donne da corteggiare, ma riuscita risulta essere anche la guardia notturna di Andrea Checchi. Un film che riesce a farci riassaporare un’Italia che non esiste più, in puro stile da commedia all’italiana, ed anche delle più pregiate. Il maestro Lucio Fulci, grazie alla bravura dei caratteristi di contorno e ad un ispirato Carotenuto (autore del soggetto) racconta di una Roma che non c’è più, di vizi e debolezze del “popolino” e di una solidarietà (non sempre spontaneamente sincera) tra reietti, che fa sempre il suo effetto (anche comico). Gradevole, gradevolissima commedia, allora sottovalutata dalla critica, ma molto apprezzata dal pubblico, con un importante messaggio di fondo, ovvero che la gente onesta in Italia esiste ancora. Sarà valido anche oggi? Forse. Quel che rimane comunque, è il film, davvero da rivalutare. E occhio a Mario Carotenuto: che attore! Poi giunge il 1963, e quì al di là dell’evidente mediocrità del film “Scandali nudi”, quel che è da evidenziare, è solo ed esclusivamente la gustosa caratterizzazione di Mario Carotenuto nei panni di un frate moralizzatore della provincia siciliana, con tanto di saio e barbetta da francescano. Il tutto inserito in una storia, quasi a sfondo erotico, sullo stile dei vari “Europa di notte”, usciti nelle sale di mezza europa soltanto l’anno precedente: primi timidi segnali dell’allentamento dei freni censori nel cinema italiano e non solo.
- I film del filone balneare
Arriva il boom economico, e con esso la ritrovata agiatezza della società italiana, che porta l’italiano medio a godere delle vacanze, del mare, delle villeggiature e dello svago estivo. Se immediatamente dopo la guerra era impossibile permettersi anche una sola giornata al mare, già dalla metà degli anni ’50, con il Pil ampiamente raddoppiato, gli italiani possono permettersi di andare in vacanza, anche per svariate settimane. Le spiagge e i luoghi di villeggiatura si popolano, in estate, di famiglie della media borghesia; ma anche di operai, impiegati, lavoratori a basso reddito, insomma anche di tutti coloro che non possono permettersi il lusso di una vacanza completa. Ci sono i treni organizzati dai “Dopolavoro” che consentono di trascorrere un “sabato fascista” al mare o ci sono i campi estivi per i più giovani. Il fenomeno diventa di massa dopo la seconda guerra mondiale; la rinascita postbellica, con i primi segni di benessere e la disponibilità di mezzi di trasporto, diffonde l’abitudine alla vacanza estiva e avvicina gli italiani al mare; e il cinema sempre attento ai fenomeni sociali scopre questo nuovo set e vi ambienta le proprie commedie. Il mare diventa il luogo simbolo della vacanza, e la vacanza è, per definizione, un momento di svago e di spensieratezza, ancor di più se è la conquista di un popolo che sta uscendo a fatica, ma con rinnovata voglia di vivere, dalle traversie e dalle privazioni della guerra. Con questo spirito il cinema affronta il tema delle vacanze estive al mare: le gite domenicali delle famiglie, gli incontri, gli amori, ma anche le avventure dei play boy nostrani, i vizi, le infedeltà; l’atmosfera di inusitata libertà di questo luogo spinge i personaggi ad uscire dagli abituali comportamenti di città e a cercare nuove esperienze; ma questa libertà, spesso, mette in luce gli aspetti più repressi e quindi quelli peggiori dell’uomo. E’ il boom economico. In questo contesto storico-sociologico nasce la serie dei film “turistico-balneari”. Nel decennio compreso tra la metà degli anni ’50 e la metà degli anni ’60 l’Italia visse una stagione di crescita economica e di cambiamenti sociali veloci e intensi, e divenne una delle maggiori potenze industriali. Lo sviluppo economico superò addirittura quello demografico (pure evidente) e ciò ebbe come conseguenza un miglioramento diffuso del tenore di vita (i primi apparecchi televisivi, la storica 500). Molti dei film girati in quegli anni testimoniano sia questi cambiamenti, sia le tante contraddizioni ad essi collegate. Quella del film turistico-balneare diventa una vera e propria moda che nel giro di pochi anni arriva a produrre una moltitudine di pellicole del genere. Si trattava di ambientare il film a episodi intrecciati, nelle più importanti località turistiche italiane, e spesso località balneari, con il luogo di consueto già pre-annunciato dal titolo. Un piccolo escamotage di produttori e sceneggiatori destinato a fare epoca, e come ovvia conseguenza il film veniva girato in piena estate, facendo aumentare ancora di più il mito dell’Italia della “Dolce Vita”. Tra gli specialisti del popolare genere, spicca Mario Carotenuto, che nel triennio 1960-62, prende parte a cinque film ascrivibili a tale genere, diretti tutti dal regista Marino Girolami: “Ferragosto in bikini”, “Caccia al marito”, “Bellezze sulla spiaggia”, “Scandali al mare”, “Pesci d’oro e bikini d’argento”. In quasi tutti questi film Carotenuto è un commendatore in cerca di facili avventure sulle spiagge italiane, Ostia in primis. La medesima tipologia del commendatore o ingegnere al mare, in cerca di avventure galanti: uno stereotipo che l’attore romano impersona con gustosa aderenza e sapida ironia. Addirittura in “Pesci d’oro e bikini d’argento” è un commendatore romano che si gode la sua Piazza Navona, deserta, il giorno di ferragosto, ma che, ovviamente, non rinuncia ad abbordare una turista tedesca, approfittando del fatto che la moglie è in villeggiatura al mare. Particolarmente riuscito anche il ruolo dello scalcinato gangster americano che tenta di portare in Italia i metodi della malavita americana, con gag pseudo-malavitose a non finire, nel film “Scandali al mare”. L’unico ruolo, dei cinque film, curiosamente diverso, ma estremamente divertente.
- Il Nastro d’argento e gli anni ’70
Gli anni ’70 regalano a Mario Carotenuto caratterizzazioni memorabili, in un tipo di cinema e di società profondamente diversi da quelli del decennio precedente. Più cupo, più enigmatico, figlio dei tempi, con i primi segni del terrorismo che acuiscono la tensione sociale e un intero sistema politico che si sta sfaldando paurosamente. Ma il cinema cambia, anche perché sono venute meno le strenue ali moralizzatrici della censura, ormai con le maglie evidentemente super allentate. Fioccano i nudi, le parolacce e le prime scene di sesso, esplicite o meno. Eppure Mario Carotenuto, da attore esemplare, sempre pronto ad assecondare cambiamenti e variazioni, sa riciclarsi, riadattarsi ai nuovi tempi, come solo i grandi attori sanno fare. Tra le sue migliori interpretazioni, sono da evidenziare il vetturino romano di Girolimoni, il mostro di Roma (1972), di Damiano Damiani; il ruolo di Armando detto “il professore”, una sorta di saggio e dotto borgataro romano, nel film “Lo scopone scientifico“, di Luigi Comencini, che gli vale la vittoria del Nastro d’argento come miglior attore non protagonista; ma soprattutto l’avvocato De Marchis del cult-movie “Febbre da cavallo”(1976), uno dei bidonatori bidonati che affollano la storia. E siccome questi sono anni di profondi cambiamenti, Carotenuto non sfugge al nascente filone scollacciato-boccaccesco, che si rifà da un lato alle novelle del Boccaccio, riadattate ai giorni nostri; dall’altro con il termine boccaccesco inteso nel senso di scollato, erotico, pruriginoso. In questa serie di film, l’attore romano si presenta in veste autarchica ( “L’insegnante”, “La liceale”, “La professoressa di scienze naturali”), dove interpreta quasi sempre il preside di una scuola nella quale alunni e professori pensano solo a sesso e non a studiare, lui compreso. Il genere è dominato dalla presenza di ottimi caratteristi, come lo stesso Mario Carotenuto, ma anche Lino Banfi, Alvaro Vitali o Renzo Montagnani. Certo, il livello di queste pellicole è alquanto basso, in certi casi davvero infimo, ma Mario Carotenuto ci insegna che la classe non è acqua e che il talento fuoriesce persino nelle situazioni più becere, come quando ha interpretato il ruolo di fra’ Bernardone nell’inguardabile film in costume “Racconti proibiti…di niente vestiti”. Val la pena poi, nominare il film “Il tifoso, l’arbitro, il calciatore”(1982), di Pier Francesco Pingitore, in cui Carotenuto interpreta il ruolo di uno sfegatato romanista in una caratterizzazione da manuale, rimasta nella storia del cinema. Al suo fianco, un sempre nasuto Pippo Franco.
- Il segreto del suo successo
Presenza dirompente in scena e sullo schermo, nella vita privata Big Mario era invece – come racconta la figlia Claretta – un uomo riservato e schivo, che non amava parlare di sé. Parlava invece, e con entusiasmo, del proprio lavoro e della passione per l’ambiente cinematografico. Era diventato, grazie all’estrema popolarità accumulata, una sorta di “mito” vivente. Era stato in grado, più di tanti altri attori della sua generazione, di parlare al popolo, a quel popolo che voleva divertirsi ed era uscito da pochi anni dalle rovine della guerra. Nei suoi innumerevoli ruoli cinematografici, nei dissidi coniugali, nelle avventure impossibili, nell’inventare soluzioni impreviste, Mario Carotenuto è stato davvero uno dei personaggi sociologicamente più importanti e rilevanti del nostro cinema. Uno dei re della “commedia all’italiana”, ma di quella più popolare, erroneamente chiamata B-Movie, ma che di serie B, ha ben poco. Era uno dei massimi interpreti della fascia più popolare e popolana della commedia all’italiana, perché lui era il romano de Roma, ed era quasi come se fosse il “rappresentante” del popolo a Cinecittà. Corpulento e pesante, ma di bella agilità, il viso modellato dagli occhiali che aiutano espressioni tendenti a tutti i registri, da quello furbesco a quello preoccupato, magari se c’era da pagare qualche cambiale in protesto, Carotenuto è il romano borghese, piacione, seduttore, sempre inappuntabilmente vestito in giacca e cravatta: perfetto per il campionario cinematografico dell’Italia del boom economico. La sua faccia, con gli occhialoni dalla montatura spessa, la sua corpulenza, la sua gestualità sono rimaste nella memoria collettiva, sopravvivendo a tanti attorucoli di elevate pretese, ma di poca sostanza, dilaganti nell’anonimato italiano dell’era moderna: che tristezza! Vale il detto: ” non ci sono più gli attori di una volta”, Mario Carotenuto in primis!