Maria Beatrice Barletta

di Vincenzo Naymo

Una nobildonna gioiosana, Maria Beatrice Barletta (1779-1859) finché visse, fece brillare a sue spese ogni anno, il 5 febbraio alle ore 19.00 un “isparo” ossia un solo fuoco d’artificio per ringraziare Dio dello scampato pericolo di essere rimasta incolume la comunità gioiosana dalle terribili distruzioni del terremoto del 5 febbraio 1783. In effetti Gioiosa e i suoi abitanti furono risparmiati da uno dei più terribili cataclismi della storia della penisola italiana. Il sisma del 1783 fu qualcosa di più di un terremoto. Fu un vero e proprio cataclisma che con una scossa di 8.3 gradi della scala Richter della durata di 2 interminabili minuti sconvolse la Calabria Ultra, la sua urbanistica e persino l’orografia del territorio. Si aprirono nuove valli, scomparvero rilievi, alcuni fiumi cambiarono corso ma soprattutto la provincia di Calabria ultra registrò gravissimi lutti e perdite incommensurabili al patrimonio urbanistico, con la scomparsa di monumenti storici dal valore inestimabile. Paesi interi si inabissarono, altri furono rasi al suolo dalla scossa principale e da quelle di assestamento che durarono quattro anni. Si riuscì a ricostruire in tempi record per l’epoca ma l’identità della Calabria e quella dei suoi abitanti aveva subito un colpo durissimo. Monumenti come la Santissima Trinità di Mileto, San Domenico di Soriano, la città di Terranova, e tanti castelli furono persi per sempre. A differenza del versante tirrenico dove fu localizzato l’epicentro e dove si verificarono i danni maggiori, il versante ionico subì danni minori sebbene non trascurabili. L’immagine di una Calabria fatta di ruderi, di tracce di un antico splendore perduto è figlia di quel cataclisma. Pensate se una sorte simile fosse toccata a Roma o a Firenze cosa sarebbero oggi i romani o i fiorentini. Conserverebbero ancora (come conservano) la loro identità senza avere più i loro monumenti? Ecco quando qualcuno ingenuamente sottolinea la scarsezza nella nostra regione di opere d’arte non tiene in alcun conto l’effetto dei terremoti sui monumenti e sui manufatti ma soprattutto sull’identità dei calabresi. Essi hanno perso la memoria di ciò che sono stati e molti loro mali affondano le radici in questi eventi catastrofici. E allora forse non era inutile il botto, “l’isparo” che alle 19.00 del 5 febbraio di ciascun anno Maria Beatrice Barletta faceva brillare a mo’ di monito e di memoria del “tremuoto” affinché la gente non dimenticasse il proprio passato nel percorso verso il futuro.

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