Lo studiolo di Federico da Montefeltro
di Roberto Cafarotti
Il professor Antonio Paolucci, nelle sue lezioni universitarie, diceva che l’arte medievale (intendendo anche quella sino al Quattrocento) si caratterizzava essenzialmente per la straordinaria qualità d’esecuzione che doveva applicarsi in tutti i manufatti: sia nella fattura di un ostensorio o di un candelabro come nell’edificazione di una cattedrale.
Sebbene lo stile sia già rinascimentale, la qualità esecutiva che imponeva la tradizione, sin dai secoli precedenti, restò immutata.
Ciò che qui propongo è un’immagine delle tarsie lignee che decorano lo Studiolo di Federico da Montefeltro signore e duca di Urbino.
Egli volle che il suo palazzo-città manifestasse non solo la potenza raggiunta in qualità di capitano di ventura e condottiero al servizio del papa, ma anche come uomo illuminato e dedito alla cultura.
In quell’epoca, anche l’ultimo mercenario guerrafondaio ambiva a possedere libri ed opere d’arte. La Cultura era considerata un enorme valore e un ambìto privilegio.
Federico, con l’enorme ricavato ottenuto durante la sua militanza al servizio dei potentati di un’Italia quattrocentesca, sempre in lite uno contro l’altro, si fece costruire uno dei più splendidi palazzi di quell’epoca.
Lo fece decorare con opere d’arte, arazzi, libri, statue e tutto ciò che occorreva per fare di quel luogo uno dei massimi e più prestigiosi centri culturali d’Italia.
All’interno del Palazzo, lo studiolo di Federico è un gioiello nel gioiello.
Lo studiolo era il luogo dove il Duca amava ritirarsi in compagnia dei suoi libri da consultare o insieme ai grandi intellettuali che periodicamente erano suoi ospiti; si manifestava quindi in emulazione all’otium della classicità romana: il piacere di ritirarsi dopo le fatiche belliche a riflettere e meditare sui grandi temi filosofici e sul significato della vita.
Ciò, naturalmente, avveniva fra una carneficina e l’altra.
Lo studiolo fu decorato nella fascia superiore con le immagini di grandi filosofi ed umanisti, dipinti da Giusto di Gand, un fiammingo e poi dall’allievo Pedro Berruguete. Nella fascia ad altezza d’uomo la decorazione scelta fu voluta in un pregiatissimo lavoro di ebanisteria. Tarsie disegnate da artisti del calibro di Botticelli, Donato Bramante, Francesco di Giorgio Martini.
L’ebanisteria era un’arte raffinatissima che prevedeva il taglio di elementi di legno profilati su un disegno, tali da adattarsi perfettamente, senza né incertezze né punti di discontinuità sulle linee di contatto o di separazione del disegno. Ma anche le tonalità espresse nel disegno di progetto, dovevano essere perfettamente replicate, compreso le sfumature, in maniera che l’opera assumesse la precisione di un disegno fatto col pennello, ma grazie ai toni dell’essenza lignea.
Giuliano e Benedetto da Maiano furono gli esecutori di tali meraviglie, insieme a Baccio Pontelli. Molti penseranno che fossero artisti ebanisti specializzati in questo. No, erano scultori, ma anche architetti, pittori, genieri.
Non ci meravigliamo quindi quando Leonardo operava spaziando dai dipinti alle fortificazioni, dalle macchine da guerra alle scenografie effimere per gli spettacoli o le celebrazioni, perché questo era una consuetudine piuttosto diffusa per quei tempi.
Baccio Pontelli, ad esempio, quale artista prediletto dei Della Rovere fu chiamato per potenziare la fortificazione di Senigallia con la costruzione della Rocca. Poi lo fece ad Ostia, e progettò per il papa in persona la Cappella sistina, si, proprio la stessa che poi i grandi pittori fiorentini e Michelangelo decorarono.
Fra un castello e l’altro, “perché no” si direbbe con l’ingenuità di un Forrest Gump, produsse anche questo straordinario capolavoro assoluto dell’ebanisteria.
(Roberto Cafarotti)
Baccio Pontelli, Giuliano e Benedetto da Maiano
Tarsie dello Studiolo del duca Federico da Montefeltro – 1476- Galleria nazionale di Palazzo Ducale – Urbino

