L’incredibile storia dell’isola delle Rose
di Armando Pepe
C’è chi interpreta il proprio ruolo di critico (o presunto tale) cinematografico ergendosi a re-censore dei patri costumi e/o della storia pubblica della nostra comunità nazionale. Ad esempio, da giorni impazzano commenti, legittimamente, intorno all’ultimo film di Sidney Sibilia, dal poetico e fantasmagorico titolo “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose”, disponibile dal 9 dicembre su Netflix. L’idea del film è venuta a Sibilia dopo aver letto il romanzo “L’Isola e le Rose”, scritto da Walter Veltroni (che appare nei titoli di coda in qualità di “consulente storico”) e pubblicato da Rizzoli nel 2012. In soldoni si tratta della storia di Giorgio Rosa, giovane ingegnere di belle speranze, che negli anni Sessanta, quelli del boom economico, costruisce con un gruppo di amici una piattaforma in mezzo al mare Adriatico, al largo di Rimini. Cominciamo dalla pars destruens, ovvero seguendo il pensiero di chi stronca, a prescindere, il film del regista salernitano. Dai commenti apparsi improvvisamente su Facebook (con alcuni dettagli appresi a loro volta da Wikipedia) si apprende che «Giorgio Rosa, quello vero, era nato nel 1925. Nel 1968 aveva dunque 43 anni, non proprio un giovane sognatore. Si era arruolato nella Repubblica Sociale Italiana [come Walter Chiari, Raimondo Vianello, Dario Fo, Enrico Maria Salerno e Giorgio Albertazzi]. Sui motivi del suo progetto-, che iniziò nel 1958, durò tra fasi alterne per dieci anni e vide la costituzione di una società ad hoc per l’iniezione del cemento (non proprio dunque l’idea venuta a quattro amici al bar sul lungomare di Rimini)-, si sono nutriti sempre molti dubbi. Ma la cosa veramente notevole è l’elevatissimo livello di mistificazione di cui è capace la mitopoiesi veltroniana. La storia diventa così una soap opera, in cui tutto viene sempre e immancabilmente dagli anni Sessanta». Possiamo anche supporre che il progetto dell’ingegner Rosa sia stato anche un abuso edilizio in mezzo al mare o la creazione di un casinò mascherato, piantato a sei miglia marittime di distanza (all’epoca il limite delle acque territoriali) dalla riviera romagnola, fatto apposta per eludere il fisco italiano. Ma perché dobbiamo per forza appiattire il film, che è anche finzione, sulla linea della realtà a tutti i costi? Infatti, e qui inizia la pars construens, l’intento del regista è quello di restituirci l’atmosfera di quegli anni, anche in modo dissacrante, con la tipizzazione in chiave ridanciana e perciò improbabile, di personaggi che hanno segnato le sorti della storia d’Italia in età contemporanea e repubblicana, come Giovanni Leone e Franco Restivo, rispettivamente (dal 25 giugno al 19 novembre 1968) presidente del Consiglio (Leone) e ministro dell’Interno (Restivo): il primo, impersonato in salsa macchiettistica (evidentemente pagando lo scotto a Camilla Cederna che mal lo dipinse) da Luca Zingaretti, il secondo, portato magistralmente sulla scena da Fabrizio Bentivoglio, dimostratosi un grande e virtuoso attore in una parte non facile, rendere simpatico chi deve essere necessariamente il contrario. Incidentalmente, sovviene alla memoria, per chi è appassionato di film sugli intrighi che hanno funestato la nostra nazione, che già precedentemente Franco Restivo (di cui manca una seria biografia) era stato portato sullo schermo (da Lollo Franco nel film “Romanzo di una strage” di Marco Tullio Giordana) nelle vesti di ministro dell’Interno in un governo presieduto da Mariano Rumor (era il 12 dicembre 1969), ma quella è un’altra storia. Gli altri attori, tra cui il protagonista Elio Germano, sono davvero bravi. Colpisce in senso positivo il ruolo interpretato da Giorgio Lidi ma anche quelli impersonati da Matilda de Angelis (nel film Gabiella, la fidanzata di Giorgio Rosa) e Tom Wlaschiha (che restituisce la vividezza e spensierata post-giovinezza di Rudy Neumann, un apolide tedesco dall’avventuroso passato). In quanto a Stati (o pseudo-tali) immaginari al mondo c’è anche la micro-nazione del “Principato di Sealand”, ma i romagnoli sono più fantasiosi.
