Letture del socialismo

di Salvatore Sechi

Matteotti e il socialismo.

Quando Piero Sraffa scelse i riformisti contro Gramsci.
di Salvatore Sechi

Contro incomprensioni e pregiudizi la storia del socialismo riformista ha ancora molto da insegnare. Anzitutto ad un partito ormai fallito come il Partito democratico. In tale contenitore ha prevalso lo spirito delle correnti (e dei loro accordi) per gestire l’immobilismo politico a beneficio delle spartizioni e dei compromessi per rendere queste ultime inosssidabili.
Ex comunisti e cattolici di sinistra si sono raccolti dietro la bandiera comune di esorcizzare, liquidandola come negativa, la superiorità della politica (e degli Stati) socialdemocratici rispetto a quelli comunisti. L’esito di questa arrendevolezza verso le resistenze di questi ultimi a riconoscere di essere stati dei perdenti, un vero e proprio secolare fallimento, è nella crisi da cui il Pd è stato investito fino a rendere attuale una nuova scissione se non la sua scomparsa dalla scena politica.
Il saggio di Maurizio Degl’Innocenti su Giacomo Matteotti è un invito a ripercorrere senza rettorica nè silenzi la biografia di un leader e di un movimento che la mano armata del terrorismo fascista, nel 1924, si illuse di avere messo a tacere per sempre.
Nel Polesine come in tutta la Valle Padana il riformismo di Turati e di Matteotti ha riscattato milioni di italiani dalla condi zione di plebe. Ha saputo alzare la schiena, ed evitare ogni cedimento, per fronteggiare e respingere la violenza del padronato sui luoghi di lavoro e il dispoti smo di ideologie e di partiti come il comunismo e il fascismo.
Nel tempo si è vista durare una civiltà di rapporti e una rete di istituzioni straordinariamente resistenti ad ogni coercizione e crisi.Una grande storia, dunque che la storiografia comunista, assecondando l’unilateralità fino alla faziosità aperta(anche se sempre presentata con acume) di Antonio Gramsci, ha cercato con ogni mezzo di nascondere o falsificare.
Ancora oggi davanti al massacro e alle devastazioni di Putin in Ucraina è difficile trovare una comunista che le paragoni a quanto fece all’inizio degli anni Trenta un suo illustre e sciagurato predecessore come Stalin.
Di qui l’importanza del grande saggio di Andrea Graziosi che ricostruisce la guerra civile in Ucraina, anche allora granaio d’Europa,tra bolscevichi e contadini e nomadi di diverse nazionalità.
I comunisti,compresi quelli italiani, che nel 1931-1934 tacquero, quando non furono solidali con le carestie, gli stermini per fame per imporre alle campagne la politica della collettivizzazione e affamare i kazaki per poter rifornire le città sovietiche. Le vittime furono oltre 4 milioni. Pertanto, come possono essere sorpresi e indignati dei massacri e delle devastazioni di un ex allievo dei bolscevichi come Putin?
Ancora venticinque anni fa, gli storici del PCI, insieme alla redazione, respinsero questo volume.Vedrà la luce (e sarà la sua fortuna editoriale) in una collana per nulla accademica diretta, sempre per l’editore torinese, da Natalia Ginzburg.
Matteotti nel 1924 morirà accoltellato da una banda di squadristi Mussolini ani. Era un segnale dell’attacco dei fascisti allo Stato di diritto. Per arginarlo fu necessario scegliere la strada migliore.
Essa comportava la rinuncia al principio imperativo per cui fin dalle origini il movimento socialista aveva scelto di non collaborare con le istituzioni della borghesia, cioè col nemico di classe.Venivano accettate per uno stato di necessità.
Pertanto, il disagio non fu poco tra i socialisti di ogni corrente. Fino ad allora, infatti, la democrazia parlamentare non aveva costituito un valore. Di qui nasceva l’impossibilità di partecipare al governo dello Stato .
Anche se in proporzioni più contenute rispetto al grande successo del 1919 (quando portarono in parlamento oltre 150 eletti), i socialisti (con in particolare la performance dei turatiani) si schierarono a difesa del parlamento. Lo fecero uscendone, per partecipare all’opposizione di concerto con tutti i partiti ostili al premier Mussolini raccoltasi nell’Aventino.
Inizialmente ne fecero parte anche i comunisti.
Ma per loro era impossibile collaborare con i socialisti perchè, come rilevò lo stesso Gramsci, i socialisti detenevano il consenso della maggioranza della classe operaia. Di qui la decisione di Gramsci (appena eletto segretario del partito al posto di Amedeo Bordiga) di abbandonare il fronte comune antifascista, optare per lo sciopero generale (fallito), riproporre la linea cominternista della rivoluzione bolscevica (chiamata “governo operaio e contadino”) e chiedere nuove elezioni.
Di fronte a questa linea politica il giovane economista Piero Sraffa, una volta lasciata la London School of Economics e rientrato a Milano, allenta i suoi rapporti con il Pcd’I e con lo stesso Gramsci. Non si capisce quanto in alternativa, riallaccia il vecchio legame con il Psu.
Non solo Carlo Rosselli, che conosceva dall’adolescenza ed era in strettissimi contatti con un’illustre coppia di coinquilini di Sraffa (i Turati-Kuliscioff), ma anche il presidente della giunta esecutiva della Provincia di Milano Nino Levi (al quale fu legatissimo a lungo come a Raffaele Mattioli) e altri componenti del gruppo come Fausto Pagliari e Alessandro Schiavi.
Non mi pare realistico banalizzare , come hanno fatto molti storici comunisti (o gramsciani che dir si voglia) questo intermezzo politico nella biografia di Sraffa. Quasi fosse un incidente di percorso o un’eccezione, vale a dire un evento privo di un significato politico generale. Potrebbe, in effetti, corrispondere ad una fase della vita di Sraffa in cui la scelta di fare lo studioso non era stata ancora interamente maturata.
Nè si può escludere che il suo orientamento politico verso l’estrema sinistra, delineatosi nel seguire le grandi lotte operaie negli Stati Uniti e nel Regno Unito, nel 1921, si sia venuto stemperando di fonte alla minaccia del fascismo.
In un noto articolo sull’Ordine Nuovo, egli respinge la proposta bolscevica dei comunisti, invitandoli a limitarsi fare la “mosca cocchiera” dell’opposizione aventiniana, ma fa di più. Nega che in Italia la classe operaia sia matura per la rivoluzione e che intenda muoversi su questo terreno. E per finire sia ai comunisti (ma soprattutto ad essi) sia a una parte degli stessi socialisti perora la necessità di ripristinare l'”ordine borghese”, cioè lo stato di diritto.
Sarebbe opportuno che uno studioso come Maurizio Degl’Innocenti e la Fondazione Turati, che egli dirige, dedicassero una riflessione storica ravvicinata a che cosa è stato il riformismo milanese. Personaggi come l’avvocato Neri (difese Turati e Salvemini e fu presidente della Provincia fino al 1922, dove favorì la nomina di Sraffa alla testa dell’Ufficio Provinciale del Lavoro),due studiosi come Pagliari e Schiavi, insieme al sindacalista Rinaldo Rigola e all’Umanitaria sono un passaggio-chiave, in Italia. Mi riferisco allo sforzo che venne fatto per adeguare le istituzioni dello Stato liberale alla società industriale in formazione. E per accantonare la maldicenza, animata da una vera e propria prosopopea, secondo cui il riformismo socialista negasse, o condannasse, la conflittualità e la lotta di classe che anche i processi di industrializzazione e il primo dopoguerra avevano promosso.
In un recente volume di studi accurati e originali dedicato ad Antonio Gramsci, uno studioso come David Bidussa ha avviato, con inedito (su questa tematica) spirito di indipendenza rispetto ad un grande passato, il ripensamento della storiografia sul consiliarismo, riflettendo anche su questa cultura. Non si è lasciato intimidire dal fatto che Gramsci, che era un polemista non estraneo alla diffamazione dei propri avversari, l’abbia affondata liquidando l’opera di un sindacalista riformista come Rinaldo Rigola con l’epiteto spiccio di fautore di un “marxismo biellese”.

Maurizio Degl’Innocenti, Giacomo Matteotti e il riformismo socialista, Franco Angeli, Milano 2022.

David Bidussa, Il consiliarismo come pratica di governo, in Gramsci nel movimento comunista internazionale, a cura di Paolo Capuzzo e Silvio Pons, Carocci editore, Roma 2019.

Andrea Graziosi, La grande guerra contadina in Urss 1918-1933, Officina Libraria, Napoli 2022.

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