L’eroismo che non c’è.

di Peter Freeman

In circa trentacinque anni di mestiere credo di non avere mai utilizzato le parole “eroe” o “eroismo” nei miei articoli, se non con sfumature ironiche e mai scrivendo di guerra. La stessa cosa, vale per la parola “onore”: quando l’ho utilizzata l’ho sempre fatto al di fuori del contesto guerresco.
Ricordo un’accesa discussione con un dirigente RAI perché rifiutai di inserire quelle parole in un documentario sulla Grande guerra.
Il fatto che nella mitopoiesi di sinistra si sia fatto un uso altrettanto abbondante della parola “eroi” (Guevara, Di Nanni e altri) non mi rende l’uso e l’abuso di quel termine meno repulsivo; e non perché “beato il popolo che non ha bisogno di eroi”, che è un’altra formula retorica, ma perché è nel nostro pensiero individuale (di individui e non di esponenti di un’entità collettiva, sia essa nazione, gruppo sociale, o partito politico) che quelle parole andrebbero depotenziate.
Mio padre, che fu partigiano e intransigente pacifista (ciò che io non sono o almeno non mi ritengo tale) mi ripeteva sempre che in guerra esistono certamente il coraggio e anche la viltà, ma l'”eroismo” è una truffa bella e buona. L’eroismo nel discorso di destra o in quello di sinistra in qualche modo si assomigliano sempre, sono speculari.
Perciò, cari tromboni dell’una e dell’altra parte, non mi venite parlare di “eroismo”, non quando la parola è espropriata dalle armi.

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