L’ergastolano: la vicenda giudiziaria di Vincenzo Vinciguerra

di Stefano Zanoli
Lo so. Non sembra una lettura da ombrellone – si parla di stragi in definitiva – eppure “L’Ergastolano” di Paolo Morando scorre come un giallo, si lascia leggere d’un fiato, non troppo però, chè la materia è tanta e un po’ di digestione è necessaria. Però da una strage ormai quasi dimenticata, quella dei tre carabinieri di Peteano, si dipana un percorso incredibile, tragico e comico al contempo quasi una commedia noir, con avvelenamenti al chinotto, dirottatori maldestri che posano la pistola perchè scappa la pipì facendosi così ammazzare, ma anche l’immancabile, inquietante corollario dei soliti noti: politici, magistrati, carabinieri collusi, servizi segreti, CIA. Finti periti che millantano lauree inesistenti accreditati dalle più svariate procure, fino a Falcone Borsellino che però non si lasceranno turlupinare.
Le mamme, persino le mamme ci si mettono, a inviare messaggi cifrati a chi deve e può capire nelle alte sfere, quando vengono interrogate a proposito dei loro figli criminali.
E fascisti, tanti fascisti, dovunque, infiltrati, dichiarati, fuori e dentro alle istituzioni, giudici, pm, avvocati. Mamme. Fratelli insospettabili.
Così si arriva nelle pieghe e nei meandri più reconditi di una storia recente ma spesso anche poco poco nota, da Trento e la sua famosa facoltà di sociologia, ai ragazzini che, giocando, si trovano per le mani bombe e pistole saltate fuori da un presunto nascondiglio GLADIO.
Il tutto seguendo un percorso in cui l’autore ci conduce, talvolta con un sottotesto di divertito sarcasmo ma sempre basato su documenti processuali e storici che legge spesso in filigrana.
Un approccio quasi psicanalitico lacaniano alla testualità degli atti, delle deposizioni.
E il noto Vinciguerra, occasionale star televisiva, troneggia dal suo monachesimo volontario con le sue mezze verità, le sue verità dimezzate, Sibilla vivente o cialtrone incallito? Lo scarto alla fine è poca cosa in un paese corrotto e manicheo. E viene in mente il film di Monicelli “Vogliamo i Colonnelli” quando anche un giudice come Felice Casson scrive nelle motivazioni di un rinvio a giudizio del 1989:
” Le inchieste in tema di stragi, eversione nera e servizi segreti hanno fatto capire a chiunque che non ci sono limiti alla realtà e che l’impossibile è sempre più vicino al reale di quanto si possa umanamente credere e pensare.”
Insomma da leggere assolutamente. Storiografia e giornalismo vero. Anche senza giornale.