L’entusiasmante vita di Elisabetta Farnese in un nuovo libro di Giulio Sodano

di Armando Pepe 

Abbondante per vari motivi, l’ultimo libro di Giulio Sodano, dal titolo «Elisabetta Farnese. Duchessa di Parma, regina consorte di Spagna, matrona d’Europa» (Salerno Editrice, 2021), ambisce ad essere definitivo per via della pluralità non solo delle fonti, vagliate con acribia critica, ma anche per il retaggio bibliografico, interiorizzato e validamente declinato in una prosa piana ma al tempo stesso elegante.

L’argomento è per davvero imponente, l’importanza della famiglia avita, – quella farnesiana, s’intende-, ha destato la curiosità di una miriade di scrittori, tra cui Stendhal, che ne ricercavano le trame sottese, gli intrighi amorosi, delineando la fisionomia di un potere che da un piccolo feudo, – Farneto, appunto-, posto nella Tuscia, si estese, per progressive acquisizioni e studiati matrimoni, nel resto d’Italia e d’Europa. « Una bastarda di un imperatore e da un bastardo di un papa », era una frase, tanto ignominiosa quanto realistica, che circolava a mezza voce per le corti attorno alla vicenda familiare dei Farnese, i quali non avendo alle spalle una storia gloriosa nessun altro slancio ebbero se non quello di crearsela, per entrare appunto nella storia con tutta la pregnanza possibile.

Giulio Sodano, consultando un’impressionate mole documentaria, è riuscito nell’intento di dare pieno risalto prosopografico ad Elisabetta Farnese, andando perfino oltre il mero dato fattuale, poiché ha interpretato con sagacia anche l’aspetto psicologico dei personaggi che ruotano attorno alla protagonista. Nel flusso storico, non solo europeo ma anche mondiale, non esiste una linearità consequenziale, ma i sentimenti giocano un ruolo non secondario, anzi si potrebbe dire preminente.

Elisabetta Farnese, infatti, si pose, in una vita dinamicamente intensa, quale metodica e persistente tessitrice di legami familiari, avendo l’unico obiettivo di eternare, attraverso la regalità, la propria progenie, finalmente riuscendovi. Aveva l’occhio lungo, agiva in previsione e con precisione. Giovane sposa di Filippo V di Borbone, seppe accudirlo comprendendone le ansie, lenendogli la triste malattia, facendogli dimenticare, – per quel che poteva-, la difficoltà di vivere, che i depressi cronici conoscono benissimo.

L’Autore, quindi, ha tenuto da conto la struttura complessiva dei diversi elementi biografici, attenendosi al non facile gioco dell’incastro, per rendere completamente fruibile la narrazione. Ne è venuto fuori un libro dalle notevoli dimensioni, che si dipana per complessive 478 pagine e tocca, argomentandola con dovizia di particolari, ogni prospettiva.

L’incipit è paradigmatico in quanto essenziale, «sebbene i Farnese avessero occupato nel panorama italiano del Cinque e Seicento un prestigioso ruolo politico, non potevano vantare l’antico lignaggio di altri casati principeschi come i Gonzaga, i Savoia o gli Este. Quando si voleva ferire il loro onore, si era soliti dire che discendevano da “una bastarda di un imperatore e da un bastardo di un papa”» (p. 13). Lo stigma si rivelò necessariamente uno stimolo per fare di più e meglio degli altri.

Più avanti Giulio Sodano giustamente osserva che «tutta la storia della famiglia ducale [quella dei Farnese] è segnata dal ricorso al self-fashioning, dalla costruzione del sé e dall’autorappresentazione attraverso un rapporto strettissimo con l’arte, il cui abbagliante splendore serve prima a rischiarare i natali oscuri, e poi a diradare le nebbie della decadenza. L’arte può essere un considerevole strumento di legittimazione del potere, soprattutto quando il potere è debole, grazie al valore altamente propagandistico dell’immaginario simbolico collettivo» (pp. 18-19).

La committenza artistica farnesiana, giustappunto, ha pochi eguali al mondo e l’Autore, districandosi agevolmente tra artisti e capolavori, fa un resoconto di cose formidabili, tuttora visibili nella rete museale mondiale; un mecenatismo di scala globale, insomma.

Il backstage matrimoniale, di Elisabetta e Filippo V, è reso con una forte vividezza, analoga a quella usata per delineare il cardinale Giulio Alberoni, attivissimo uomo di stato, capace come pochi di intrecciare trame più o meno oscure ma tutte efficacissime, su cui Giulio Sodano scrive impietosamente e icasticamente: «non è da considerare l’unico caso di chi, nell’Europa del Settecento, partendo dal basso, riesce a scalare posizioni vertiginose fino a diventare ministro e cardinale. Si pensi a John Law e al cardinale Dubois. È tipico di questo secolo detestare profondamente chi fa carriera partendo da umili origini. Mai pienamente accettati, come il Barry Lyndon del romanzo di William Makepeace Thackeray, riportato sulla scena cinematografica da Kubrick, su questi personaggi prima si indirizzano le adulazioni, ma poi, al primo errore, si addensano le maldicenze» (pp. 95-96).

Alla vita di corte, al dettaglio interiore ed intimo, fa da contrappunto la visione a grandangolo sul panorama europeo di quegli anni, il lungo Settecento, in cui non è mancato nulla: ambizioni dinastiche, patti di famiglia, guerre di maggiore o minore interesse.  Tuttavia Elisabetta Farnese realizza nuove residenze reali, chiama pittori, musicisti e cantanti di fama internazionale, come Carlo Broschi, alias Farinelli, vede incoronati re i propri figli (tra cui Carlo III) e, una volta morta, «viene sepolta alla Granja, vicino a Filippo V, l’uomo che ha sposato, amato, protetto e che l’ha resa regina di Spagna» (p. 408).

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