Le otto montagne
di Paola Rivetti
Ieri sera sono andata a vedere questo. Cast stellare, personaggi interpretati e delineati benissimo, per non parlare della fotografia e delle musiche: ti fa venir voglia di prendere gli scarponcini e cominciare a camminare. Però sono uscita dal cinema con in testa una esortazione: ma si ripigliassero! È un film su due uomini che non sanno chi sono e/o non riescono ad essere altro rispetto a quello che pensano di essere. Il tutto mentre le donne che hanno intorno (madri, compagne, mogli…) si prendono cura di loro, dei loro affetti e dell’affetto tra di loro, che loro, per mal riposto orgoglio adolescenziale e offesa facile, sono disposti a negare ogni tre per due. Ve lo immaginate un film su una donna che rinuncia a esser madre, si incazza con tutti perché nessuno la capisce, non riesce a fare i conti con i propri fallimenti economici, si ritira a vivere in solitudine in montagna senza lavorare o a far nulla a parte bere e boh altre cose che non vediamo, e che viene rappresentata nonostante tutto questo in chiave positiva come un’eroina stoica che soffre e che è forte allo stesso tempo e che ha fatto la sola scelta a lei possibile perché lei è meravigliosamente uncompromising? Forse mi sbaglio, ma credo siano meno frequentati come personaggi da film. Il film usa per sviluppare la propria trama una specifica narrazione pseudo-eroica e “miserabile” (pensiamo alla famiglia di Bruno e a come vivono) degli “uomini di montagna” e degli “uomini che vanno in montagna” che nella nostra cultura ha almeno 170 anni (ovvero da quando la montagna e chi ci vive sono diventati oggetto di studio e riflessione da parte di quelli che vanno in montagna) e che questo film non riesce a scalfire, anzi rafforza perché quello è il canone che capiamo tutti. Peccato perché aveva tutto per esser un film più bello di quello che è (ed è molto bello).
