L’albero dei sogni

di Roberto Cafarotti

Questa volta pubblico un’opera senza un mio commento ma una favola, a mio parere bellissima e struggente. L’ha scritta Lorena, mia moglie, regalandomela in occasione di uno dei miei numerosi compleanni.

Invito coloro che amano leggere i post a dedicare qualche minuto del proprio tempo a queste – (per me preziose) righe di parole.

L’ALBERO DEI SOGNI

Quante volte sarà capitato di scoprire te stesso ad osservare un cielo nuvoloso, cercando di scorgere nelle forme delle nubi qualcosa di familiare: un orso, un coniglio … un albero.

Beh, se ti capitasse di riconoscerne uno fai attenzione perché potrebbe essere lui, l’Albero dei Sogni.
E’ un albero vero, con tanto di radici, foglie ed anche qualche nido di uccellino che quando vuole un po’ di tranquillità si rifugia lassù.

La sua storia comincia tanto, tanto tempo fa, quando l’Uomo era nato da poco e le altre creature della Terra non erano ancora abituate a quell’essere così strano, a volte gentile ed a volte furioso, a volte in pace con la natura, altre presuntuoso ed arrogante.

Certo era difficile servire sempre i desideri di quell’essere eppure la legge diceva così: le Piante e gli Animali erano lì per essere usati dall’Uomo a suo piacimento ed anche quando lui offendeva la Legge, sciupando i doni che gli erano dati, essi dovevano tacere ed obbedirgli; questo perché egli doveva crescere, anche nell’errore.

Vi era però una giovane quercia un po’ ribelle, come tutti i giovani sempre alla ricerca del perché delle cose, che faticava ad accettare la Legge e si chiedeva come avrebbe potuto comunicare con gli Uomini e fare capire loro quanto a volte fossero crudeli e come in quel modo ritardassero il loro risveglio, allontanandosi dalla Legge e dall’Amore.

L’Albero, così, decise di non obbedire più agli istinti malvagi e di accondiscendere invece ai pensieri gentili: quando l’Uomo usava le sue foglie per rendere più morbido il proprio giaciglio offriva generosamente le sue fronde ma quando cercava di strappare i suoi rami per sfogare l’ira, l’albero scuoteva con rabbia le chiome e tremava ed agitava il tronco ed i rami facendolo scappare ed egli, spaventato, non capiva.

L’Albero si sentiva felice soprattutto quando l’Uomo sceglieva i suoi rami per ripararsi nel sonno; allora poteva cogliere i suoi pensieri più innocenti, le speranze ed i sogni, ne gioiva e profondeva nell’essere che si era rifugiato in lui pace e serenità, sperando che al risveglio ricordasse qualcosa e germogliasse in sé il seme dell’amore.

Ma tutto questo era sbagliato.
La Legge diceva che l’Uomo avrebbe dovuto compiere il suo viaggio nell’Amore con le sue sole forze e avrebbe dovuto odiare e odiarsi, distruggere e distruggersi, affliggere ed affliggersi ed infine comprendere e comprendersi, amare ed amarsi.

Fu chiamato l’Uomo a giudicare l’Albero e chiese che fosse bruciato.
Furono chiamati gli Animali e vollero che fosse spogliato delle sue fronde e le foglie date in pasto alle bestie ed i rami strappati al tronco.
Furono chiamate le Piante e chiesero che fosse lasciato solo a seccare, lontano da tutti i suoi simili, quale esempio per coloro che avessero osato ancora sfidare la legge.

Infine, fu chiesto all’Albero di punire se’ stesso.
Egli chiese che il suo tronco verde bruciasse e salisse al cielo come nuvola, che le sue fronde ed i rami non fossero più tali ma si confondessero e si straziassero al soffiare del vento, chiese di rimanere per l’eternità solo, lontano da tutti, nel silenzio e nell’immensa solitudine del cielo, lontano dalla Terra e dal suo benefico nutrimento.

Fu così che l’Albero fu fatto cielo, ma rimase Albero e proseguì il suo cammino d’amore raccogliendo tra i suoi rami i sogni ed i desideri degli Uomini, rimandandone in cambio speranze e serenità a tutti coloro che trovano il coraggio o la voglia di guardarsi dentro e di sognare il cielo.
(Lorena Tabanelli)

Gustave Courbet (1819-1877)
La Quercia du Flagey, 1864 Olio su tela, 89×110. Museo Gustave Courbet, Ornans.

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