La vigilia di Natale
di Natale Luzzagni
Sono cresciuto dentro alla ritualità provinciale (termine in cui riconosco la mia parte migliore) di un preciso culto popolare. Mio padre mi conduceva nei boschi e raccoglieva il muschio con una chirurgica azione del coltello. Il suo presepe aveva tutte le modulazioni di un mito coltivato tra le increspature della cartapesta e i tetti di corteccia. A scuola si produceva nella versione con le arance pendenti.
La vigilia era il vero appuntamento familiare. Baccalà fritto broccoli e la presenza rigorosa di tredici qualità di frutta. Arance, mandarance, clementine, pere, cachi, melograni, mele, noci, nocciole, mandorle, arachidi, datteri e i fichi secchi infornati aperti a beccafico, infilzati da bacchette di bambù tra foglie d’alloro.
I miei piccoli compagni padovani – che la Sicilia la immaginavano attraverso le forme di un’anonima cartina geografica – non capivano il senso di quella celebrazione serale. Ma in casa noi sapevamo che quel momento contava più d’ogni altro.
In totale assenza di pastori e ninnoli penzolanti, il mio personale Natale è tutto racchiuso in una composizione che rispetta l’inviolabile somma numerica per un’antica devozione. Tredici colori diversi e un vago suono di zampogne.
Buon Natale, compagno veneto che ti sei perso la fragranza di questo spettacolo familiare atteso in silenzio per un anno intero.
