La solitudine

di Gian Paolo Serino 

La solitudine mi ha reso ipersensibile, come se la mia anima fosse priva delle protezioni della pelle, e sono ormai così viziato dalla libertà di governare i miei pensieri e i miei sentimenti che non riesco quasi a sopportare il contatto fisico con un’altra persona. Quando incontro anime gentili mi sento come quando torno a casa e mi siedo alla scrivania e mi sento veramente vivo.
E allora parlo come fossi un bambino, una donna o un vecchio: sono re e mendicante, sono il signore potente, il tiranno e il più disprezzato, il ribelle sconfitto; qualsiasi opinione mi appartiene e qualsiasi religione è la mia; vivo in qualsiasi epoca, e io stesso non esisto più. E mi piace perché è un modo di perdermi ritrovandomi perché quello contro cui scrivo non sa leggere. Almeno così ho sempre pensato: ma credo che l’intesa artistica non sia più un rubare, come l’ho sempre subita saccheggiato di note canzoni parole testi pallottole e vite, ma una comunione di anime di uomini che magari se si incontrassero per strada non si sopporterebbero, perché profondamente uguali, ma poi c’è quell’attimo, quel sorridere insieme, quel comprendere insieme il vissuto tra chi non ha vissuto, che diventa complicità, arte, amicizia, come fratelli di inchiostro che cercano la stessa via non avendo mai perso la strada maestra ma sopravvissuti, insieme lontani uguali, ai vicoli ciechi delle imposizioni di un mondo (in)folle.
Guarda me saprai chi sei.
Capita poche volte ma quando capita, allora, è poesia.
È nell’aria e speri solo che riuscirete a catturarla perché è lì, che vi guarda.
Basta alzare una mano. Gentile nel fiume del cielo, perché pensieri allagati diventino note.

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