Decisamente ben confezionata, la polpetta avvelenata sullo zio di Emanuela Orlandi.
Incapsulata in una presunta lettera in cui il cardinal Casaroli chiederebbe conferma degli avvenuti abusi al padre spirituale dell’abusata (Natalina, la sorella maggiore di Emanuela), sembra a tutti gli effetti una informazione desunta dalle carte investigative della giustizia italiana.
Carte che in questo periodo ballano da un luogo all’altro, in attesa, si spera, di approdare nell’istituenda Commissione Parlamentare.
Già nell’immediatezza della scomparsa, infatti, il giudice Domenico Sica era perfettamente al corrente dell’abuso subito dalla ragazza, e ritenendo giustamente che meritasse un approfondimento, ne aveva chiesto conto a Natalina.
Dando seguito, si vuole sperare, a qualche accertamento del caso.
Da chi lo aveva saputo? dato che Natalina ne aveva parlato soltanto con il futuro marito e con il suo padre spirituale, si deve ritenere che il padre spirituale fosse stato meritatamente autorizzato dai suoi superiori a mettere al corrente il giudice del fattaccio.
Perchè allora incapsulare oggi la notizia (certamente vera) dello zio abusante in una (quasi certamente falsa) lettera cardinalizia?
Intanto perché lo scopo, ancora una volta, è quello di gettare fango sul Vaticano, suggerendo all’opinione pubblica che la Chiesa, per mano del cardinal Casaroli, volessa scaricare la responsabilità della scomparsa di Emanuela sui famigliari.
In secondo luogo, perché così facendo è stata meglio occultata la fuga di notizie, che certo non può essere addebitata al promotore di Giustizia vaticana, che certamente autolesionista non è.
Nella foto lo zio Mario Meneguzzi, che con il suo sfrenato attivismo dopo il sequestro della nipote si rese immediatamente sospetto.
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