La Pasqua ebraica

di Alessandro Vivanti

Dopodomani sera comincerà Pesach, la Pasqua ebraica e imbattersi nella raffigurazione di un Seder (la cena pasquale) non è facile. Soprattutto se si tratta di arte fiamminga del secolo XV.
In questo caso a stupire per la raffinatezza dell’esecuzione è il pittore Dieric Bouts il vecchio (Dirk o Dierick), che pur essendo probabilmente nato ad Haarlem nel 1415 (Paesi Bassi), e avendo svolto il proprio tirocinio nella stessa città, è sempre associato a Lovanio, sede della prestigiosa Università, città nella quale visse e per la quale lavorò per quasi tutta la vita, tanto da essere nominato nel 1468 pittore ufficiale della città.
La prima menzione ufficiale di Bouts nei documenti di Lovanio è del 1457: “Dieric Bouts schildere” (Dieric Bouts, pittore).
La sua pittura venne molto influenzata da Rogier Van der Weyden; non è certo che Bouts fu materialmente suo allievo, ma le opere del Maestro di Tournai furono sicuramente sempre presenti nel suo immaginario artistico, tant’è che l’artista di Lovanio portò avanti alcuni tratti caratteristici di Van der Weyden, come la tipizzazione dei volti, in contrasto con l’individualizzazione perseguita da Jan Van Eyck.
La scena in questione fa parte del polittico realizzato nel 1464 e conservato nella collegiale Sint-Pieterskerk di Lovanio, edificio di stile gotico Brabantino. Nell’altare del Santissimo Sacramento il pannello centrale raffigura l’Ultima cena, mentre i pannelli laterali narrano l’Eucaristia: l’Incontro di Abramo con Melchisedec; la Raccolta della manna; Elia nel deserto e appunto la Pasqua ebraica.
L’opera venne commissionata dalla Confraternita del Santissimo Sacramento di Lovanio, il cui controllo sull’esecuzione dell’opera fu severissimo. Le tesi catare e quelle protestanti che presero corpo di lì a mezzo secolo con la Riforma luterana erano più che mai vive e presenti. Così alcuni teologi si preoccuparono che l’artista realizzasse un’opera veramente cattolica.
Un oggetto in particolare è ricorrente sia nella scena centrale dell’Ultima cena, sia in quella del Seder di Pesach: il coltello, allora strumento di offesa/difesa più che da tavola.
Nell’immagine della cena con Gesù e gli apostoli, i coltelli raffigurati sono tre sulla tavola: uno è di fianco a Giuda, il personaggio di schiena a sinistra, con la barba e il coltello rivolto verso Cristo, mentre gli altri due sono davanti agli unici apostoli che vestono abiti fiamminghi. Il coltello di Giuda annuncia il suo tradimento. Gli altri due coltelli, uno rivolto verso Gesù e l’altro rivolto verso Giuda, sono un riferimento a quanti difendevano o si dissociavano dall’istituzione del Corpus Domini e dalla sua diffusione in tutta la Chiesa.
Nel pannello della Pasqua ebraica invece, il coltello è uno solo ed è quello che il capofamiglia affonda nel costato dell’agnello, simbolo di Cristo; è un monito severissimo nei confronti di quel Popolo che non ha riconosciuto l’avvento del Messia e altresì per i membri della Confraternita, invitati a confrontarsi non solo con Giuda, ma soprattutto nei confronti degli altri commensali, per domandarsi come si ponessero davanti alla realtà. Cristo è l’Agnello immolato che ha preso su di sé le lame dei coltelli dell’odio, affinché l’uomo non ferisca e non si ferisca, colpendo in particolare ciò che non può né conoscere appieno, né giudicare convenientemente mentre vive nelle anguste prospettive di questo mondo.
Aggiungo io: “lievemente” anti giudaico, ma all’epoca questa era la realtà dei fatti: dopo pochi decenni ciò che avvenne fu ben peggiore.

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