La pace, anzitutto. Ma esiste pace senza difesa?
di Francesco Capraro
Ultimamente va di moda demonizzare l’apparato militare: probabilmente è un frutto avvelenato di questi tempi così incerti e, diciamolo pure, pieni d’angoscia. Ma le demonizzazioni per partito preso servono a qualcosa?
“Fa figo” essere antimilitaristi e credere che il mondo sia una immensa distesa di latte, miele, cioccolato e marmellata. La realtà, purtroppo, è differente. Si scontra con i classici interessi contrapposti, calati però in un quadro di rapporti di forza dove il famoso nodo gordiano – quello che qualcuno, prima o poi, dovrà pur recidere, e di netto – è, in realtà, più intricato di quello che si pensi. Del resto questa è l’epoca del Caos, e presumo che finanche Alessandro Magno avrebbe avuto serie difficoltà ad orientarsi.
Dal canto mio, per quel po’ che mi riguarda e nonostante il senso comune sia dominato dalle geremiadi pacifiste, considero ancora indispensabile avere una politica di difesa, con un apparato militare degno di questo nome. E non per un fatto retorico o per questioni di fanatismo ideologico; ma perché la pace, la libertà e gli interessi di una Nazione non sono il frutto di una graziosa concessione del Caso. Richiedono, se necessario, sacrificio e dedizione. In un mondo la cui cifra regolatoria è il Caos non è possibile stare su una cuspide ed attendere passivamente il corso degli eventi.
In conclusione di queste riflessioni, del tutto estemporanee, vorrei ricordare alcuni versi de “La domenica delle salme”, di Fabrizio De André:
“a tarda sera io e il mio illustre cugino De Andrade
eravamo gli ultimi cittadini liberi
di questa famosa città civile
perché avevamo un cannone nel cortile
un cannone nel cortile“.