La morte di Serena Mollicone
di Massimiliano Griner
Non ci sono colpevoli, per la morte di Serena Mollicone, ammazzata ad Arce, in Ciociaria, nell’estate del 2001. Ed è veramente una vergogna che non sia stato possibile in tutti questi anni trovare il responsabile di quel delitto orribile.
La sentenza di ieri, però, era prevedibile.
La tesi dell’accusa è che Serena, stanca di veder circolare droga nel suo paese, si fosse recata nella locale caserma dei carabinieri per denunciare quello che riteneva il principale responsabile, il figlio del maresciallo, un suo coetaneo.
Fin dal primo momento in cui mi sono occupato di questa vicenda, questa ipotesi ha cozzato contro il criterio della verosimiglianza che spesso mi ha salvato dal prendere delle cantonate. Nel mondo reale una cosa inverosimile può essere vera, ma raramente.
Più spesso l’inverosimile è semplicemente falso.
Serena non era come Michelangela, la mia amica che il giorno del massacro di Giovanni Falcone decise di diventare magistrato, e di combattere i mafiosi, cosa che poi fece vincendo il concorso in magistratura.
Serena era una ragazza giovanissima, ancora incerta se studiare psicologia o diventare veterinaria, per via della sua spiccata passione per gli animali.
Non aveva alcuna particolare avversione nei confronti delle droghe leggere, non aveva mai fatto nessuna campagna contro il loro consumo e non aveva un atteggiamento “militante”.
Era anche una ragazza molto intelligente, e se proprio avesse dovuto denunciare il figlio del maresciallo, non sarebbe certo andata nella caserma del padre.
E non basta.
Non c’è alcuna traccia, nelle migliaia di pagine di atti, di una attività di spaccio di droga gestita dal figlio del maresciallo, attività che peraltro in paese era fiorente. Il figlio del maresciallo non spacciava. Punto. Consumava droga, certo, come facevano purtroppo quasi tutti quelli del suo giro, e moltissimi ragazzi, non solo ad Arce. Ma non la spacciava, e non era affatto il piccolo boss dello spaccio locale, i cui veri responsabili erano ampiamente noti ai carabinieri.
L’ipotesi che Serena, il giorno della sua morte, fosse andata in caserma per denunciare il figlio del maresciallo, non aveva alcun senso. Non c’è mai stata alcuna pezza di appoggio che la giustificasse. E naturalmente era ed è del tutto inverosimile.
Infatti la ragione per cui era andata in caserma era senz’altro un’altra.
Questo naturalmente non significa che il resto dell’impianto accusatorio sia infondato. Anzi, gli elementi raccolti dalla procura raccontano una storia dettagliata, e ora la corte che ha giudicato avrà le sue difficoltà a spiegare perché non li ha ritenuti sufficienti.
Ma l’inizio del resoconto era viziato da un baco devastante, che un po’ per volta deve essersi insinuato nelle menti di chi ha giudicato, erodendo via via anche quello che c’era di solido.
