La crisi delle Nazioni Unite. Dal peacekeeping al “militarismo umanitario”.
di Eugenio Di Rienzo
Ha ancora senso parlare di operazioni di mantenimento della pace e di operazioni umanitarie? Secondo Michele Dell’Agli e Francesco Lamberti, autori del saggio “Il peacekeeping, fine di un (falso) mito”, edito da Giuffrè, il “peacekeeping”, nella sua accezione più stretta, è ormai terminato, per essere sostituito da una sorta di “militarismo umanitario”, non definito e poco definibile nei suoi connotati giuridici, a causa dello snaturamento cui l’ONU è stato soggetta nella sua evoluzione dottrinale e dell’allargamento dei suoi compiti e delle sue funzioni con mandati troppo ampi e forse troppo ambiziosi. Le Nazioni Unite hanno perso, ormai da tempo, la loro centralità assunta in particolare negli anni ’90. Dal teorizzato “Impero dell’ONU” di Boutros Ghali e Kofi Annan si è passati all’attuale configurazione di un’organizzazione, esposta seriamente e continuamente al rischio, per il momento evitato, di poter essere usata come copertura di singole Potenze e di organismi militari e politici transnazionali.
Gli interventi umanitari, quindi, si trovano di fronte al pericolo di essere asserviti a politiche statuali egemoniche, contrastanti con lo stesso diritto internazionale. Quelli condotti dalla comunità internazionale, sotto mandato ONU, in Kosovo, Iraq, Libia e Afghanistan, solo per citare i principali, sono lì a testimoniare la deminutio capitis del “Palazzo di vetro”. Le Nazioni Unite si trovano, infatti a repentaglio di trasformarsi in un semplice organo di approvazione, ex post facto, di un’azione bellica “umanitaria”, decisa in altra sede, mostrando a nudo, ieri come oggi, debolezze, deficienze, criticità di fronte a gravissime crisi internazionali, come l’invasione russa dell’Ucraina, che le obbligano a lasciare spazio ad altri attori privi della necessaria “terzietà”.
Partendo da un esame della genesi concettuale e terminologica del concetto di guerra, Dell’Agli e Lamberti tracciano l’evoluzione sostanziale e procedurale delle operazioni di pace, sulla base del diritto consuetudinario consolidatosi nel tempo. Molto significativo è il case study scelto dagli autori, quello dell’operazione UNOSOM, la missione dei caschi blu condotta in Somalia nei primi anni Novanta, che si risolse in un totale fallimento, al pari della Bosnia e del Ruanda, con il ritiro dei contingenti internazionali, tra cui quello italiano. Proprio quest’ultimo, composto essenzialmente dai paracadutisti della Brigata Folgore, diede il suo meglio, soffrendo anche i suoi caduti (cui, peraltro, è dedicato il libro), dimostrando coraggio e valore, come, in particolare, nei combattimenti del 2 luglio 1993, al check point “Pasta” a Mogadiscio, con la morte di tre parà, i primi caduti italiani in battaglia dalla fine della seconda guerra mondiale.
Un saggio su cui, riflettere, quello di Dell’Agli e Lamberti, che è arricchito con una utile disamina dello status istituzionale dei peacekeepers, con l’esame di quegli strumenti giuridici che connotano qualsiasi operazione di pace, tra cui, innanzitutto, i principi di diritto bellico e di polizia giudiziaria militare.
