La contraddizione accademica

di Gianni Fresu

In questi decenni l’Università italiana è stata sottoposta a una pesante ristrutturazione funzionale di segno liberale: a fronte di una costante riduzione della spesa pubblica, sono state introdotte logiche aziendalistiche di produttività per gli insegnanti, mentre la soggettività degli studenti e stata trasformata: da cittadini titolari di diritti in consumatori fruitori di un servizio. Organismi di direzione accademica indotti a ragionare e agire come se fossero Consigli di amministrazione di un’impresa; principi di valutazione della qualità didattica e della produzione scientifica uniformati a criteri arbitrari, talmente meccanici e schematizzati da rendere dialettici i deliranti paradigmi del positivismo deterministico. Eppure, nonostante il marketing e l’ampio ricorso alla lingua inglese per dare un tono internazionale ad attività assolutamente ordinarie, l’aula magna di un edificio frequentemente e densamente vissuto dalla comunità accademica può cadere di punto in bianco come un castello di carte. Mi accuseranno di essere eccessivamente ideologico, ma io considero quanto accaduto paradigmatico di una contraddizione politica generale, perché anche dal ruolo attribuito all’università pubblica possiamo comprendere quale idea di società hanno le nostre classi dirigenti.

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