La comfort zone della cultura

di Paolo Landi

Sembra impossibile ma il cretino 2023 si è creato la sua comfort zone perfino nella cultura. Così come è difficile separarsi dalla propria ombra, noi, cosiddetti intelligenti, siamo tallonati dalla nostra stupidità, occasionale o cronica che sia. Ci aveva già sgamati William Hazlitt nel 1821 impallinandoci in una serie di saggi, raccolti da Fazi diversi anni fa nel pamphlet “Sull’ignoranza delle persone colte” (1995). Diversamente dall’intelligenza pura, la cretineria che coglie i colti, gli eruditi e i sensibili all’arte in generale è energica, attiva, bellicosa. E’, insomma, intelligenza deviata, perché bisogna comunque avere le gambe per essere zoppi, avrebbe detto Hazlitt. Se paragoniamo come faceva lui l’intelligenza a una vela, quella più o meno ce l’abbiamo tutti: ma non tutti abbiamo il vento. E’ il vento che fa gonfiare le vele e identifica con margini minimi di errore gli intelligenti veri, o spirituali, da non confondere con gli intelligenti cretini, quelli che, per intendersi, credono che la letteratura si faccia con la letteratura, la poesia con la poesia, l’arte con l’arte, non realizzando invece che il pane si fa con la farina. Madame Verdurin nella “Recherche” ha delle tremende nevralgie quando ascolta la sonata di Vinteuil: secondo lei è la dimostrazione del suo animo sensibile; se quella musica le avesse provocato davvero quelle insopportabili emicranie sarebbe probabilmente corsa a ingoiare un’aspirina, risparmiando ai suoi ospiti la stucchevole pantomima del mal di testa intelligente ma togliendo ai lettori spirituali di quel libro l’occasione di riconoscere un cretino fatto e finito: che davanti all’arte si commuove, perché questo sentimento triviale, la commozione, è l’unica scorciatoia che conosce per mettere al centro sé stesso, in competizione con un quadro, una musica, una poesia. Il cretino con laurea si manifesta spesso in occasioni pubbliche: si riconosce perché è sempre molto sicuro di sé, parla a voce alta anche quando il contesto richiederebbe discrezione, è raramente sfiorato dal dubbio, soprattutto di essere intelligente. Il cretino intelligente si riconosce perché animato dalla convinzione che l’Uomo – con la “u” maiuscola – sia migliorabile, come un prodotto qualsiasi del largo consumo, che di anno in anno viene presentato sul mercato con le caratteristiche modificate grazie al lavoro del reparto Ricerca & Sviluppo; si dà perciò da fare, specialmente sui social che lo impegnano il giusto, per salvare il Mondo, con la “m” maiuscola, a forza di post e di tweet eccitati che producono il risultato contrario, quello di indurre a una ragionevole diffidenza gli scettici che in una remota e casuale eventualità vi fossero incappati. Ci si può difendere dal cretino intelligente che alberga in noi cercando di capire il meno possibile, senza incaponirsi, di quello che non siamo portati a comprendere e, come consigliava Rudolf Steiner (1861-1925) ai genitori dei bambini che andavano alla sua scuola: “non portate un bambino al circo, è troppo per lui, troppi colori, troppo rumore, troppe emozioni”. Il cretino del 2023 non ha capito che è l’eccesso di attività intellettuale a penalizzare chi pensa di usare l’intelligenza per esibirsi o per trarne lucro: un bambino che gioca con una scheggia di legno sviluppa maggiore libertà creativa del bambino utente a cui Lego impone di assemblare decine di pezzi di plastica colorata, incastrandoli. L’intellettuale può sembrare stupefacente (di un critico d’arte un famoso manager disse ammirato: “Ha parlato due ore di seguito di Caravaggio senza leggere una riga!” perché il cretino intelligente ha rispetto per la performance, del contenuto non gli importa nulla) proprio quando, nella sua concezione del mondo e della cultura, appare irrimediabilmente stupido anche a un bambino.

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