La banda Baader Meinhof

di Claudio Vercelli

Ho iniziato a rivederlo (a circa metà del film, tuttavia, mi sono addormentato). Mi sembra più una sorta di poliziottesco tedesco che non altro. Non vedo grande spessore nei personaggi così come nelle situazioni raccontate. Mentre c’è come un non troppo sottile compiacimento nella descrizione della violenza in una chiave che raccorda il lascito di George Sorel all’attivismo fine a sé. Essendo, quest’ultimo, assai spesso, uno dei fondamentali tratti del terrorismo. Comunque, bravissimi gli interpreti. Così Franco Di Lella su spietati.it (2008): «Edel si limita a una ricostruzione piatta che punta tutto sulle scene d’azione e non trova una fisionomia complessiva convincente: manca, infatti, una qualsiasi scelta formale che dia al film un indirizzo: non c’è la complessità e l’ampiezza della ricostruzione storica, né l’acutezza e la precisione dell’inchiesta, né la trasfigurazione estetica del film allegorico, né l’approfondimento individuale che permette di, più che raccontare, esprimere la Storia tramite i personaggi. Di più, quello che manca è il racconto, ovvero l’operazione di (ri)costruzione di una vicenda: manca, cioè, nei termini dello strutturalismo, l’intreccio, limitandosi Edel a mettere in scena una fabula, ovvero una semplice cronologia di fatti. Privo dunque delle condizioni per cui i protagonisti possano assumere lo statuto di personaggi, ovvero di cardini attorno al quale l’intreccio si sviluppa, il film non riesce a integrare gli avvenimenti con la dimensione profonda dei protagonisti, posta come semplice dato accessorio: spesso assente, oppure rifiutata, come nel caso della Meinhof della quale lo sprofondamento nella follia della violenza è raccontato sempre come fatto e mai come problema. Inoltre sul film grava una sceneggiatura che, beatamente ignara di qualsiasi esigenza narrativa, ha l’ambizione di racchiudere entro di sé l’intero fenomeno del terrorismo rosso – e anche qui emerge la volontà di non dare alla Storia alcuna lettura – e si illude che per farlo basti coprirne l’ampiezza temporale: di qui la seconda parte, insopportabile, sulle nuove generazioni della RAF, che non aggiunge nulla rispetto alla prima. In definitiva, una specie di Romanzo criminale privo di quella la patina pop che almeno costituiva una cifra stilistica del film di Placido. Unico dato positivo le solide interpretazioni che confermano la Gedek, Bleibtreu e Ganz, conferma della quale, peraltro, non avevamo bisogno».

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