In morte di Michela Murgia

di Vittorio Sgarbi

Non sono un ipocrita, e nel rispetto che si deve a chi non c’è più, e ancor più a chi le ha voluto bene, devo dire che della Murgia donna di cultura conservo un pessimo ricordo. Quando, per esempio, disse di Battiato: “Scriveva delle minchiate”.

Mi sarei aspettato argomentazioni più profonde invece che una battuta cosi triviale.
Ricordo anche quando, per puro pregiudizio politico e faziosità, trasformò un saluto militare in un saluto romano.
O quando, pochi giorni fa, polemizzando con l’amministrazione di Ventimiglia, ha evocato addirittura “il regime fascista”.

Ma la Murgia credo che appartenesse a quella schiera di mitizzati intellettuali di sinistra a cui tutto è concesso, anche insultare uno dei più grandi autori e compositori della musica italiana con il compiacimento dei moralisti alla bisogna, pronti invece a scagliarsi contro i sovvertitori del politicamente corretto: penso a giornali militanti come “Il Fatto” o “La Repubblica”.

Grande rispetto per la sofferenza di questa donna e per la sua morte, ma vedo e leggo messaggi e parole di circostanza che rivelano incoerenza e ipocrisia.
Anche la Murgia, quando interveniva nel dibattito politico, diceva un sacco di “minchiate”.
Ricordarlo oggi che non c’è più significa renderle onore con franchezza e lealtà.

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