In morte di Gianluca Vialli
di Claudio Vercelli
Per il calcio ho sempre nutrito una passione che rasenta lo zero termico. Sono cresciuto, peraltro, con le immagini dello scandalo del calcioscommesse del 1980. Ricordo la presenza, sui campi da gioco, durante la domenica, di una o più volanti della polizia, in vicinanza degli spalti dei tifosi (non erano lì per controllare qualche ultras ma per fermare i responsabili di quella che è poi passata alla storia come la prima vicenda giudiziario-mediatica che riguardasse così platealmente lo sport “più amato dagli italiani”). Mi piaceva anche tirare di pallone ma in maniera del tutto solitaria, digerendo assai poco quel dilettantismo di gruppo che trasforma il confronto in occasione di scontro verbale (e a volte fisico). Tornai poi sui campi di calcio solo per studiare il fenomeno ultras, in quanto espressione di componenti della destra radicale. Altro tempo, altra stagione personale. Amen. Rimane tuttavia il nitido ricordo di alcuni giocatori, se non altro poiché fino ai quindici anni ne collezionavo le figurine da incollare nel proverbiale album di una nota casa editrice. (La quale, lo omaggiava all’uscita dalle scuole.) E ricordo benissimo i loro nomi. Dagli juventini – prediletti da mio padre: avevo simpatia per Romeo Benetti, se non altro per i suoi baffoni asburgici; poi, dopo un periodo di attenzione per la Sampdoria, alla fine optai per il Toro, una garanzia di insuccesso. apprezzando soprattutto il senso della continuità e la pervicacia nell’ostinazione – alle serie cadette. Gianluca Vialli entrava letteralmente in campo negli anni (1978-1984) in cui io cercavo di diventare “adulto”. Con scarso successo (nel secondo caso, non in quello di Gianluca). Mi piaceva perché in fondo lo ritenevo, nei limiti dei miei magri interessi verso il calcio, uno onesto. Laddove quest’ultima è la qualità di coloro che fanno, con “scienza e coscienza”, la loro professione, qualunque essa sia. So che a certe amiche, che stavano diventando all’epoca signore, Vialli piaceva anche per quell’aria da adolescente imberbe e cespuglioso, poi perduta nel tempo (la sua calvizie, per quel che mi riguarda, gli ha donato l’aria al medesimo tempo partecipe e compassata). Ho sempre pensato, di lui, che sia “invecchiato” bene. Peccato che non abbia potuto continuare in questo impegno di vita. Peraltro, ho silenziosamente apprezzato tutta la sua traiettoria d’esistenza. Anche e soprattutto quegli ultimi mesi, temibili e terribili, quando oramai tutti sapevamo che fosse solo più – per l’appunto – “una questione di tempo”. Caro Gianluca, siamo coetanei. Ora tu già sai quello che noi, invece, ancora non conosciamo. Buon viaggio e a presto rivederti! Per l’appunto: è solo “una questione di tempo”.
