In memoria di Giuseppe Sorvillo
di Bruno Ranucci
IN MEMORIA DEL NOSTRO CONCITTADINO GIUSEPPE SORVILLO TRAGICAMENTE SCOMPARSO…
La tragica morte sul lavoro del nostro concittadino Giuseppe SORVILLO mi ha ricordato un celebre film, “Paul, Mick e Gli Altri” di Ken Loach, un autore noto per le sue opere di denuncia sociale.
Il film racconta la storia di cinque ferrovieri dello Yorkshire, in Inghilterra, impegnati in un servizio di manutenzione per le ferrovie al tempo di Margareth Thatcher, “la lady di ferro, che, nel corso del suo governo, in nome del liberalismo più spinto, aveva privatizzato, insieme alle ferrovie, tutti i servizi pubblici, gettando sul lastrico un’intera classe operaia e cancellando, in pratica, il ruolo del sindacato.
I protagonisti saranno costretti a confrontarsi con la precarietà e l’insicurezza del nuovo mercato del lavoro proprio come è accaduto in Italia in conseguenza dell’introduzione del Jobs Act di renziana memoria (anche senza ricorrere alla privatizzazione, per esempio, le Ferrovie Italiane, affidando i lavori a società di manutenzione della rete, privano, comunque, i lavoratori di quella sicurezza economica e fisica che un ente pubblico potrebbe offrire).
Per questi motivi quella del film inglese è una storia di privatizzazioni, liberizzazioni, precarietà lavorativa, instabilità per molti versi uguale a quella degli operai come Giuseppe e dei suoi colleghi periti tragicamente con lui.
Un ex collega di Giuseppe proprio ieri denunciava alla stampa le condizioni lavorative che erano costretti a sopportare in quella ditta: un’assunzione di tre mesi, seguita da tre rinnovi di sei mesi per poter sperare in una conferma a tempo indeterminato; turni di lavoro massacranti (dalle 21,30 alle 3,30 con un casco che emanava una luce fioca in un posto senza lampioni; sottoscrizione di una dichiarazione di aver effettuato un corso di formazione “fantasma” di tre mesi; una retribuzione di circa 900 euro al mese che poteva aumentava lentamente per anzianità…
È proprio l’instabilità del posto che nel film (ma nella realtà, spesso, anche a tanti lavoratori oggi) riesce a far accettare ai protagonisti l’umiliazione e la degenerazione morale e umana, gettati nel regno della giungla, anzi, in quel che Hobbes chiamava lo “stato di natura”. Dove tutto è permesso e tutto è lecito per il mantenimento della propria sopravvivenza, che rappresenta la prima legge naturale da raggiungere.
E, alla fine, nel film, dove si svolgerà un dramma, essi riescono a mentire anche a se stessi: “E’ andato tutto bene. Va tutto bene. Andrà tutto bene.”
Non è vero. Per niente. E lo sanno. Ma ammetterlo vorrebbe dire accettare l’idea che ormai si è stati sconfitti. Che si stava meglio prima. Che il cambiamento avvenuto non solo è stato violento e menzognero, ma che è avvenuto in maniera indolore, senza aver avuto la forza di provare a combatterlo.
È questa la tragedia vera espressa dal film: è la sconfortante solitudine di questi operai, abbandonati a sé stessi da sindacati impotenti e da una politica inesistente, e non esenti da colpe per la loro stessa inerzia, di cui sono ben consapevoli.
Ecco perchè vorremmo che “Gli Altri”, indicati nel titolo del film, fossero tutti quelli che, presa finalmente coscienza della loro condizione, riuscissero a ribellarsi, a combattere e vincere il triste destino che qualcuno per interessi personali vorrebbe riservate loro sfruttandoli e, soprattutto, per non essere costretti tutti a piangere altre morti dopo quella che ha colpito tragicamente anche la famiglia del nostro caro Giuseppe…
Tante condoglianze alla sua famiglia.