Il sol dell’avvenire

di Ida Dominijanni
Sarò parca, data la quantità di cose già dette e scritte: a me Il sol dell’avvenire è piaciuto, e pure parecchio (non sono una morettiana fissa: dipende). Quella tonalità malinconica e acre mi è risuonata come un tentativo poetico e onesto di fare il lutto della fine della politica, o di “una” politica, quella che appunto pensava di avere il sole davanti e si è ritrovata spinta dal vento del progresso all’indietro, con davanti le macerie come l’angelo di Benjamin. Silvio Orlando è perfetto nella parte del perfetto segretario di sezione Pci anni 50, Bobulova nella sua anche, Margherita Buy che per una volta non fa Margherita Buy è molto meglio di quando la fa, Silvia Nono è magnifica, all’inverso, perché fa Silvia Nono. Ho letto molti commenti sui riferimenti, palesi del resto, a Fellini. Ma non ne ho letti – forse mi sono sfuggiti – sul riferimento a mio avviso altrettanto palese nel finale del film al finale di “Buongiorno notte” di Bellocchio. Qui come lì, il sogno di quanto più felici saremmo stati SE (è vero, la storia si fa anche con i se): se il Pci avesse rotto con l’Urss nel 56, se Moro fosse stato liberato nel ’78. Sono grata all’uno e all’altro, a Bellocchio e a Moretti, per aver messo queste due date certe al senso della fine carico di incertezza che oggi e non da oggi vela l’eterna giovinezza dei boomers.