Il sociologo dei lavoratori

di Giovanni Falagario
Sabato, 11 settembre 2013, è morto il professor Domenico De Masi. È spirato a Roma, a seguito del decorso di una rapida e fatale malattia che l’ha portato via dal mondo in poche settimane. Pensate il docente emerito ha conosciuto il suo infausto responso clinico il 15 agosto 2023, mentre era in vacanza e si era rivolto a una struttura medica locale di Ravello, paese bellissimo della costiera amalfitana. Era nato a Rotello, una cittadina in provincia di Campobasso, il 1 febbraio 1938.
Si laurea in Giurisprudenza presso l’università di Perugia nel 1960. La sua tesi è sulla storia del diritto. Poi parte. Va a Parigi e si specializza in diritto del lavoro. Sono anni di fermento ideale in tutto il pianeta. Però Parigi è il centro del fervore culturale mondiale in quel momento. De Masi si avvicina a coloro che sono fra i più importanti intellettuali del tempo.
Studia e si confronta con i maggiori sociologi parigini, frequenta la prestigiosa encole des hautes en science sociales di Parigi. Ove consegue un prestigioso dottorato. Si specializza così in sociologia applicata ai processi reali. Cioè studia le regole e le abitudini sociali in ambito produttivo, cioè nelle industrie.
Dopo questa sua formazione parigina, nel 1966, prende la cattedra presso l’università di Napoli. La Federico II di Napoli lo annovera fra i suoi docenti più prestigiosi. Entra anche nel gruppo fondato da Giuseppe Galasso, denominato “centro studi Nord e Sud”, che come dice il suo nome si occupa di studiare la discrepanza fra economia meridionale e settentrionale nel nostro paese.
In tutta la sua carriera De Masi occupa ruoli fondamentali, non certo dal punto di vista del potere ma dal punto di vista della rilevanza ermeneutica che le preziosi cattedre che occupa e gli istituti che presiede riescono a produrre. De masi ha la firma di alcuni dei più rilevanti studi sul lavoro in Italia. Le sue analisi hanno anche fatto il giro del mondo. Il presidente brasiliano Lula, non cela affatto che la sua politica lavoristica si basa anche sulle analisi di De Masi.
Gli studi di De Masi si fondano sulle analisi della cosiddetta “scuola di Francoforte”, un gruppo di intellettuali tedeschi che dagli anni 60 del secolo scorso analizzano in chiave marxiana la società occidentale. De Masi intuisce che lo sviluppo capitalistico porta inevitabilmente alla esclusione oltre che allo sfruttamento di milioni, forse miliardi, di persone. Già dal 1974, assieme ad altri economisti italiani, propone risposte alternative al degrado del lavoro in chiave non rivoluzionaria, come alcuni ancora facevano, ma in chiave riformista.
Si fa propugnatore di una struttura statuale che si pone come re distributore di ricchezza e competenze. L’economia è per sua natura produttrice di ricchezza per pochi e miseria per molti. Sostiene il professore. È compito dello stato ridistribuire appunto la ricchezza. Masi ricorda più volte che questo progetto sarebbe “soltanto” (si fa per dire) applicare i dettami della Costituzione Italiana. I suoi studi sono noti. Abbiamo detto che contribuiscono a formare la nuova dottrina politica, addirittura, della sinistra brasiliana.
Nel 2009 Masi incontra Beppe Grillo. Sta per nascere il Movimento Cinque Stelle. Masi offre il suo contributo fondamentale per la nascita del gruppo sociale che di lì a pochissimo diventerà la formazione elettorale più votata. Teorizza la necessità del “reddito di cittadinanza”, un reddito cioè che esula dalle attività lavorative del singolo, ma è legato ai suoi bisogni e alla sua famiglia. Hai reddito, abbiamo soldi, perché devi prenderti cura della tua famiglia, questo è il pensiero di Masi. Quando salì al governo il M5S affiancato dalla Lega di Matteo Salvini, l’esecutivo applicò il pensiero di Masi dandole forma legislativa, introducendo per la prima volta nel nostro paese il reddito di cittadinanza. Ora quell’istituto, entrato in vigore nel 2019, è stato dichiarato inutile dall’attuale Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che lo ha sostituito con il reddito di inclusione. Anche se appare difficile che il progetto dell’attuale governo dia risultati rincuoranti. “Reddito d’inclusione” prevede una società già serena e pacifica. In cui i ruoli sociali sono definiti e ordinati. Giorgia Meloni è andata solo qualche giorno fa a piangere, a nome di tutto il paese civile, le giovani violentate dal “branco”, cioè da esponenti della criminalità locale. In Italia sono all’ordine del giorno violenze e incidenti sul lavoro. La situazione è incontrollabile da parte dell’esecutivo, su questo Giorgia Meloni e i suoi collaboratori hanno ragione. Davanti a un pil che scende, sono inevitabili rigurgiti di violenza e gravi incidenti.
Ma questa è la proposta, ancora attuale anche se condivisa da pochi, di Masi. Davanti all’impoverimento e all’incattivimento della società il reddito di cittadinanza potrebbe essere la risposta prima di tutto alle insicurezze finanziarie, qualcuno potrebbe evitare di spacciare se ha il reddito, e dall’altro aprire una vera politica di inclusione partita dalle realtà sociali. Una cittadinanza con reddito sarebbe svincolata dai ricatti mafiosi. Chi non lavora potrebbe investire il suo tempo nella formazione e non in attività criminose. Caivano o Brandizzo non sarebbero più luoghi di lutto. Ovviamente questa tesi è tutta da dimostrare. In questi ultimi anni e non solo in Italia ci sono stati tanti che hanno detto applichiamo le mie tesi, tutto andrà meglio. Tutto è uguale. Tutto è violenza, come dimostrano i tragici fatti di cronaca si questi mesi. Ma discutere le idee di Masi non fa male. Pensare a un’economia inclusiva e non respingente dei più deboli potrebbe non solo garantire un reddito dignitoso a chi non l’ha, ma anche porre le basi per una lenta ma costante rimodulazione della società italiana che ha come obbiettivo camminare tutti insieme, senza escludere, verso il futuro.
Che la terra ti sia lieve Professor Domenico De masi, sociologo dei lavoratori.