Il mio “Bergman. The Genius”

di Aldo Garzia



L’opera di Ingmar Bergman è sterminata, come attestano i monumentali volumi Ingmar Bergman. A reference guide della svedese Birgitta Steene (dove sono raccolti dati e riferimenti critici sull’intera produzione bergmaniana in quasi settant’anni di carriera: teatro, cinema, televisione, radio, letteratura) e The Ingmar Bergman archives, curato da un pool di selezionati studiosi del regista svedese per l’editore Taschen. In Italia conosciamo solo una parte, seppure cospicua, di questa produzione. È quella relativa soprattutto ai film e ai lavori per la televisione che hanno avuto in seguito una versione cinematografica. Del teatro di Bergman – della sua messa in scena di Strindberg, Ibsen, Schiller, Shakespeare, Molière e di altri autori classici e meno classici – sappiamo molto meno. Pochissime di queste regie sono arrivate in Italia. Molte delle sue sceneggiature, dei suoi diari e dei suoi racconti sono stati però tradotti. Bergman ha infatti usato quasi tutti i mezzi a disposizione per dispiegare la sua creatività: radio, cinema, tv, teatro, letteratura.
Bisogna quindi fare una dichiarazione di umiltà supplementare nell’accostarsi a Bergman da parte della critica europea non made in Sweden: siamo costretti a focalizzarci sul suo cinema. Cosa che ho fatto anch’io, nonostante il Teatro Dramaten di Stoccolma abbia in archivio la registrazione visiva delle sue messe in scena. La non conoscenza della lingua svedese, come nel mio caso, non ci fa apprezzare appieno l’originalità della regia e la cura nei dettagli (il posizionamento degli attori sul palcoscenico, quello delle luci, la scelta delle musiche). Tra chi studia l’opera bergmaniana fuori della Svezia, tutto ciò costituisce un handicap perché è opinione diffusa tra i critici internazionali che la grandezza magistrale del regista svedese sia più misurabile a teatro che a cinema. “Se il cinema è la mia costosa amante, il teatro è la mia moglie fedele”, amava ripetere lo stesso Bergman.
Nel dare una struttura al mio libro, ho scelto di partire con il capitolo Alla ricerca di un mito scritto come un taccuino di viaggio. Per dieci anni ho frequentato l’isola di Fårö, la residenza prediletta di Bergman dal 1967, e ho preso parte ad alcune iniziative in suo onore, in Italia e all’estero. Ho quindi annotato ricordi ed episodi, fino all’esperienza della partecipazione alla Bergmanveckan (la Settimana Bergman) che si è svolta a Fårö dal 26 giugno all’1 luglio 2007, appena un mese prima della morte del regista (30 luglio 2007). Il secondo capitolo schizza la biografia di Bergman, dando conto degli aneddoti sul personaggio e dell’opera bergmaniana meno conosciuta in Italia, collocando il regista nel dibattito culturale della Svezia del suo tempo. Il terzo approfondisce il rapporto tra Bergman e l’Italia (dal dibattito critico sui suoi film al Leone d’oro alla carriera consegnatogli nel 1983 a Venezia), con particolare riferimento all’amicizia con Federico Fellini che nel 1969 avrebbe dovuto sfociare nel progetto di un film a quattro mani.
Venticinque (quelli che hanno fatto epoca) degli oltre cinquanta film di Bergman sono poi analizzati criticamente nel quarto capitolo, mentre per gli altri si rimanda ai riferimenti nel corso dell’intero volume. A qualcuno non si accenna, se non nella filmografia completa. Un apparato critico esaustivo su tutta la produzione cinematografica non lo propone neppure lo stesso Bergman nel suo libro Immagini, dove ripercorre con annotazioni da spettatore gran parte dei suoi film ma non tutti.
Il quinto capitolo è dedicato all’isola di Fårö, luogo amatissimo da Bergman fin dal primo incontro nel 1960. Da Fårö, conclusi gli impegni teatrali al Dramaten di Stoccolma e terminato il film per la televisione Sarabanda, il regista non è voluto più andare via dal 2004. Negli ultimi anni della sua vita ha preferito dedicarsi interamente al lavoro di scrittura nel suo studio sulla scogliera della località di Hammars.
Concludono il volume: le schede sulla produzione bergmaniana (film, teatro, radio, televisione, libri, premi Oscar), la cronologia della vita del regista e la bibliografia utilizzata. Penso di aver dato perciò un contributo alla conoscenza di uno dei grandi protagonisti del cinema mondiale e che è diventato punto di riferimento della mia ricerca intellettuale.

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