Il maiale di Sant’Antonio

di Franco Castelli

Il porcellino che nelle immagini sacre grufola ai piedi del Santo anacoreta, vissuto tra III e IV secolo d. C. in Egitto. non è che la trasformazione in positivo del verro-diavolo che, secondo la tradizione, avrebbe tentato più volte l’eremita ritiratosi in meditazione nel deserto. Nella simbologia antica il porco per la Chiesa incarna molti degli aspetti più bassi dell’anima umana, come l’ingordigia, la lussuria e la sporcizia.
Nell’iconografia cattolica Sant’Antonio Abate è raffigurato con un maialino ormai ammansito ai piedi, a simboleggiare la vittoria dell’eremita contro le tentazioni. Nei secoli, però, l’importanza del maiale nella cultura contadina ha progressivamente cambiato il significato di quest’immagine e il santo si è trasformato, da vincitore sul verro-diavolo, a protettore del maiale-amico e, per estensione, di tutti gli animali domestici.
A tal punto il maialino di Sant’Antonio era considerato una presenza benefica che, a partire dall’XI secolo, i monaci della congregazione religiosa degli “Antoniani” iniziarono a curare i malati del cosiddetto “fuoco di Sant’Antonio” (Herpes Zoster) con unguenti preparati con il grasso dei maiali che allevavano nei loro monasteri. Maiali che, dotati di un collare con campanellino, potevano anche uscire dai conventi e scorrazzare liberamente nei centri abitati perché erano ritenuti amici della comunità (si nutrivano degli scarti alimentari buttati per strada), e non un disturbo.

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