Il dogma della competitività
di Gianni Fresu
Come tutti ho letto la notizia tremenda della giovanissima studentessa che, schiacciata dall’idea produttivistica del successo secondo i canoni di “competitività” di una società dominata dall’ideologia del mercato, si è tolta vita perché, a soli 19 anni, ha ritenuto il suo percorso di studi “un fallimento”. Questo, come tantissimi altri casi, va ascritto agli insuccessi del sistema universitario italiano molto più dei deficit di bilancio dei nostri atenei. Non si tratta di un problema di disagio individuale, è il risultato politico di una “formattazione” indotta delle nuove generazioni per renderle compatibili con i modelli produttivi esistenti. Le “riforme” degli ultimi 3 decenni avevano al fondo delle proprie intenzioni proprio questa filosofia, così, in molti casi, l’università, per come è conformata, tende a comprimere le personalità, le obbliga a liberarsi di quanto non risulta spendibile professionalmente, alimentando l’ossessione del “credito” formativo necessario al raggiungimento degli obiettivi dei corsi di laurea nei tempi prefissati per non essere “un fallimento”. Lo vedo anche nella mia attività di docente, lo percepisco osservando gli studenti di oggi e prendendo atto di quanto, alla luce del trionfo di quei valori, sono cambiati anche solo rispetto a quando pure io ero uno studente. Al tempo, come tanti, ho lottato e militato nei movimenti studenteschi contro quell’idea di università e, più in generale, di società. Hanno vinto loro.